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Guaglianone, l'autore di "Lo chiamavano Jeeg Robot": "Ecco come si scrive un film"

Il vincitore del David di Donatello per 'Indivisibili' e autore di 'Lo chiamavano Jeeg Robot' racconta come si scrive per il cinema, svela due scene inedite del film culto con Maria De Filippi, Hulk e Il Monnezza....

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"A cinque anni avevo un amico immaginario, si chiamava Death. Giocavamo insieme, è morto quando è nato mio fratello". La solitudine creativa di Nicola Guaglianone, cresciuto a Villa Bonelli a Roma in un palazzo disabitato con la madre casalinga (il padre, dirigente agli Aeroporti di Roma, c’era poco), un’infanzia a ricreare le battaglie con i Playmobil e i viaggi dell’eroe con Big Jim - è sfociata nel mestiere di sceneggiatore. Vent’anni di gavetta, poi il successo arrivato tutto insieme scavallati i quaranta. Il film culto Lo chiamavano Jeeg Robot, il David di Donatello vinto con Indivisibili, L’ora legale con Ficarra & Picone per cui riceve il premio Tonino Guerra al Bi&fest di Bari. E poi la serie Suburra, il cartone Uccelli criminali, il nuovo film con l’amico Gabriele Mainetti, una commedia con Verdone, il remake del tedesco Lui è tornato, Mussolini al posto di Hitler, con Miniero. "La formula del successo? Mischiare i generi, il cinema italiano e l’action Usa, contaminare il crime col pop".
 

L'arte della sceneggiatura, incontro con Nicola Guaglianone


La gavetta. "Vengo da una famiglia di avvocati del Sud, mio padre era di origini calabresi - racconta nel piccolo studio al piano terra dietro Piazza del Popolo, prima tappa della giornata insieme - ho fatto il classico, poi giurisprudenza. Una noia mortale". L’aveva scelta perché "mi piaceva l’idea del posto fisso. Ho lasciato a pochi esami dalla laurea". Il servizio civile nel ’97 a Tor Bella Monaca, in un centro di integrazione sociale con minori condannati e con i disabili psichici, "un bagaglio di storie a cui ho attinto in seguito". Guaglianone lascia l’università per scrivere un romanzo. "Ho iniziato a leggere tardi, non sono un intellettuale né un artista. Sono partito da Moravia, con passione".
 

Tra il Monnezza e la De Filippi, una scena inedita di 'Lo chiamavano Jeeg Robot'


I primi racconti, mai pubblicati: "Inizi sempre a scrivere di te. Di un viaggio in Alfa 750 da Roma alla Calabria per Natale, l’odore delle case dei vecchi, il cibo come mezzo per interagire, 'Mangia a nonna che sennò si offende'...". Il primo copione è B- Movie, opzionato da un produttore: "Esco dallo studio, guardo l’assegno di 5 milioni, mi metto a piangere. Capisco che è il lavoro che voglio fare". In Usa, dove vivrà un anno con la fidanzata di allora e tornerà per sposarsi nel 2012 "a Las Vegas con Elvis che porta la sposa all’altare e canta tre canzoni... " scrive una serie sugli obiettori "che fu realizzata ma che disconosco. Il regista ingaggiato portò un suo sceneggiatore e mi scavalcò".
 

'Tiger Boy', quel corto di Mainetti e Guaglianone amato da Lasseter


Il maestro e l’amico. L’incontro con Gabriele Mainetti, grazie al fidanzato della sorella, "lui ha 18 anni, io 22. Lo porto con me ai seminari di Leo Benvenuti, qui dietro all’Anac". Guaglianone s’infila il berretto ("ho perso i capelli a vent’anni, fu un dolore ma la causa è genetica, perfino mia nonna era pelata…") e indica il seminterrato abbandonato, vecchia sede dell’Anac: "Questa è stata la mia scuola. Non mi presero al Centro sperimentale, né alla Rai. Telefonai all’Anac: vorrei seguire un corso di sceneggiatura… mi dissero che Benvenuti faceva lezioni gratis. Mi presentai con un soggetto triste e banale su un violinista. Lo lesse e mi disse 'questo lavoro lo puoi fare'. Leo è il mio mito: generoso, intelligente, cinico. Mi ha insegnato l’osservazione ironica della realtà. Il non prendersi mai sul serio. Quando sono a un dibattito con un regista che parla di 'noi autori' a me viene fuori la borgata, la Magliana… Io e Mainetti abbiamo la stessa visione delle cose. Siamo più fratelli che amici. Siamo anche l’uno il medico dell’altro, entrambi ipocondriaci".
 

Due piedi sinistri, ma molto giallorossi. Il corto che accende il tifo in rete


La svolta. Dopo i corti Tiger Boy e Basette Gabriele ed io ci sentivamo pronti per un lungometraggio. Chiesi a Gabriele se volesse una storia di sentimento o pistole. Di pistole, rispose. Vado a casa e sotto la doccia immagino un tizio che ha in pancia ovuli di droga. Scrivo dieci pagine, ma poi capisco che al cinema italiano serve qualcosa di mai fatto: un supereroe nel mondo del crimine. Parto dal tema: in Italia il potere è sempre un privilegio e non un servizio, il superpotere non fa eccezione. Il romano Enzo Ceccotti per prima cosa si porta via il bancomat. Sono cresciuto in casa con l’idea della 'svolta'. Ecco, Enzo vuole svoltare e prende i soldi. Ma la vera svolta è quando inciampa nei sentimenti". Nella prima versione di Jeeg c’era Lo zingaro che irrompe ad Amici, dà una testata alla De Filippi, si porta a casa il trono. Guaglianone sorride: "Il prossimo film con Gabriele è la cosa migliore abbia mai scritto".
 
Consigli utili. "Il primo consiglio? Studiare, scalettare film e serie", dice passeggiando per Piazza del Popolo. E poi "mi fanno impazzire le scuole che fanno credere ai ragazzi di essere 'autori', 'poeti'. La poesia ci mette un attimo a diventare una stronzata. Il nostro è un mestiere, ci si deve mettere al servizio dell’idea del regista". Ed essere "onesti, sinceri, umili. C’è una generazione di ventenni non abituati al fallimento, se fai loro un appunto ti si mangiano". Dice, Guaglianone, "aveva ragione Sergio Leone quando diceva che il cinema è spettacolo. Certe cose mi annoia pensarle, figurarsi scriverle". Io e Gabriele eravamo stanchi di un cinema italiano che racconta dell’avvocato che tradisce la moglie con la segretaria, del disagio sociale scritto da un attico di Prati, la gente incazzata con le facce contrite. Benvenuti mi ha insegnato a non giudicare i personaggi, considerare i loro vizi come i nostri. Una lezione che ho avuto presente per L’ora legale con Ficarra e Picone".
 

'Uccelli criminali', il corto di Guaglianone e della "Pixar italiana"


Lavoro in corso. In taxi, per andare a casa di Carlo Verdone con cui, insieme a Menotti, scrive la nuova commedia. "Appena ho saputo che mi cercava mi sono precipitato. Per me è commovente, il mio maestro Benvenuti era il suo sceneggiatore: essere arrivato qui è bellissimo". Verdone lo accoglie schitarrando, nessuna indiscrezione sul nuovo progetto, si teme l’ira di De Laurentiis. "Con Carlo lavoro tutti i pomeriggi. Da lui imparo l’assoluta umiltà, si sorprende del fatto che conosco a memoria tutte le battute dei suoi film". Un altro attento alla medicina. "Le mie fragilità, le mie debolezze me le tengo - ride Guaglianone - dico sempre agli studenti: trasformatele nella cosa più preziosa che avete. E poi il DSM, il Manuale dei disordini mentali, è il mio vero manuale di sceneggiatura: ci sono tutte le psicologie, i disturbi mentali... io mi ritrovo quasi in tutti".