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Piccolo viaggio nel recente passato tra fatti e tendenze con la guida di Winenews: ecco cosa ha lasciato in eredità al mondo del vino italiano il 2016. Export, acquisizioni, classifiche, leggi, quotazioni …

Viaggio by Winenews nel recente passato tra fatti e tendenze dell’Italia del vino. Che cosa lascia il 2016 al 2017 del mondo del vino italiano ? Ecco un breve “viaggio nel tempo”, la cui rotta è segnata dall’“Annuario di WineNews”.
E partiamo con le certezze. Il 2016 è stato per l’Italia del vino soprattutto l’anno delle acquisizioni eccellenti. E, ancora una volta, il territorio protagonista è stato Montalcino: proprio nei giorni immediatamente precedenti alle feste di Natale, il francese Epi Group di Christopher Descours è entrato in Biondi-Santi, proprietaria della tenuta di famiglia, “Il Greppo”, dove è nato il Brunello. E sempre a Montalcino, Frescobaldi ha acquistato, la Tenuta LogoNovo dell’imprenditore svizzero Marco Keller, che l’ha condotta fino ad oggi, mentre Claudio Tipa ha continuato a “conquistare” i vigneti dove nasce il Brunello, acquisendo la Tenuta San Giorgio, che entra a far parte del Gruppo Collemassari, dopo che a giugno aveva portato a termine anche l’acquisto de La Velona. Anche il petroliere argentino Alejandro Bulgheroni, con l’acquisto di Tenuta Vitanza, ha ampliato i suoi possedimenti a Montalcino (dopo le precedenti acquisizioni di Podere Brizio e Poggio Landi, sempre a Montalcino) e, ancora, Podere Salicutti “è caduto in mano” tedesca, precisamente della famiglia Eichbauer. Sempre per restare in Toscana, Schenk Italian Wineries ha messo radici nella terra del Vino Nobile di Montepulciano, con l’acquisto dell’azienda Lunadoro e il progetto di Campo alle Comete nel bolgherese, realizzato dalla campana Feudi di San Gregorio, che ha rilevato la Tenuta Le Pavoniere della famiglia Guicciardini Strozzi, creando un polo produttivo composto da 600 ettari complessivi in Italia (di cui più di 400 vitati, tra Basilicata, Puglia, Etna, e nei Colli Orientali del Friuli Venezia Giulia). Sempre a Bolgheri, l’imprenditore austriaco Stanislaus Turnauer entra in Tenuta Argentiera, con una quota di maggioranza, acquistata dalla famiglia Fratini. Acquisizione dai contorni per certi aspetti clamorosi della toscana Teruzzi & Puthod, azienda del territorio di San Gimignano e della sarda Sella & Mosca, che passano contemporaneamente dalla proprietà del Gruppo Campari a quella del Gruppo Terra Moretti, affiancato dai partner Simest SpA e Nuo Capital Sa, attraverso Terra Moretti Distribuzione srl. Anche in Piemonte, il 2016 ha portato un cambio di proprietà non proprio secondario, con il marchio storico Vietti che è passato alla famiglia americana Krause. Mentre la famiglia veronese Tommasi, con la sua Tommasi Family Estates ha acquisito la maggioranza della Paternoster di Barile, griffe dell’Aglianoc del Vulture.
“Manovre” che arrivano a siglare una tendenza non secondaria, che vede cantine alla ricerca di compratori a causa dei costi di produzione particolarmente alti, i debiti incessanti nei confronti delle banche e i flussi di cassa molto complessi.
Di altro segno, appaiono l’acquisto di 9 ettari nella sottozona Dardi di Bussia da parte di Poderi Lugi Einaudi, l’aggiudicazione all’asta della Cantina Nuova Agricoltura da parte di Donnafugata a Pantelleria, l’acquisto di una cantina e di altri cinque ettari a vigneto sull’Etna da parte di Tasca d’Almerita, l’arrivo, sempre sull’Etna del Barolista Davide Rosso che ha comprato 10 ettari di vigneto sul vulcano, l’assorbimento della Cantina Cooperativa della Riforma Fondiaria Arnesano Monteroni da parte di Cantine Due Palme, l’acquisto della Fattoria Belvedere a Campoli nel Chianti Classico della Conte Ferdinando Guicciardini, operazioni che indicano, invece, un consolidamento e una crescita su ciascun territorio di realtà produttive di rilievo.

Ancora una certezza resta saldamente l’export del vino tricolore.
Non si vedono impatti particolari provenienti dalla “Brexit” nell’ultima rilevazione Istat del mese di settembre sugli spumanti (+34%) e sono stati positivi anche i dati relativi al vino imbottigliato (+3%). La commercializzazione estera di vino italiano rimane ancorata all’Europa, che rappresenta il 62% del totale, mentre stabili rimangono Germania e Stati Uniti, il continente asiatico resta marginale (6,6%) e anche quest’ultimo elemento evidenzia un trend che pare proprio consolidarsi. L’export di settembre cresce complessivamente del 9%, ma dall’inizio dell’anno la crescita spunta un confortante +3.6% a 3,96 miliardi di euro, con volumi tendenzialmente deboli (+1,6%). Ormai il traguardo della proiezione di fine anno a 5,50 miliardi di euro è molto più che probabile, come del resto dichiarato in sede di previsione da più parti. Il fattore chiave della nostra crescita restano decisamente gli spumanti: +34% in settembre, e +24% negli ultimi 12 mesi. Sono ormai il 21% delle nostre esportazioni e promettono di mantenere le loro posizioni di dominio anche nel 2017. Dalle stime dell’Osservatorio del Vino, su base dati Ismea, emerge infatti che il comparto nazionale dei vini spumanti chiuderà il 2016 con una produzione sui 625 milioni di bottiglie (4,69 milioni di ettolitri, +18% sul 2015) ed un export di 3,4 milioni di ettolitri (oltre 450 milioni di bottiglie da lt. 0,75). L’export, come già accennato, è trainato dallo spumante a Denominazione di Origine (+23% a volume e +29% a valore) e, in particolare, dal Prosecco (+28% a volume e +38% a valore), da gennaio a settembre 2016 ha fatto registrare già oltre 2 milioni di ettolitri di vendite oltre i confini nazionali, con incrementi su base annua a volume del 21% e a valore del 24%. E sul fronte del mercato interno? Anche qui, dopo un periodo non breve di forte incertezza, sembra tornare un confortante fermento: i consumi interni nella gdo sono cresciuti per il vino di qualità del 3,8% a valore e dell’1,7% a volume (dati Iri aggiornati a novembre 2016) ed anche il canale Horeca fa rilevare un incremento delle vendite del 7,5% a valore e del 7% a volume (proiezione fine anno su dati Osservatorio del Vino).

Ma il 2016 è stato anche l’anno del cosiddetto “testo unico sul vino”, che dal 28 novembre è diventato legge sotto la dicitura “Disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino”.
Un corpo di 91 articoli che peserà positivamente sul 2017 che sta arrivando e su tutta la filiera dalla produzione alla commercializzazione, dai controlli alle sanzioni. Per dare un giudizio definitivo dobbiamo naturalmente attendere che la legge entri in funzione operativamente, ma già da ora possiamo dire che a partire dal suo articolo primo, la legge fissa un principio generale decisamente importante e cioè che il vino e la vite sono parte del nostro patrimonio culturale, e per questo devono essere salvaguardati, nei loro aspetti sociali, economici, produttivi. Un testo che assorbe tante leggi, decreti e circolari, che, di fatto, vengono trasformate in uno strumento unico di consultazione dove si potranno trovare tutte le risposte in materia di produzione, in tema di consumo e di presentazione al consumo, in tema di etichette.

Sul fronte dei magazine internazionali il 2016 ha visto l’Italia enoica ben rappresentata nella “Top 100” di Wine Spectator.
18 in tutto le etichette, due in meno però del 2015, che valgono il secondo posto assoluto all’Italia dietro agli Stati Uniti e davanti alla Francia. I due italiani nella top ten del magazine diretto da Thomas Matthews, sono il Barbaresco Asili Riserva 2011 dei Produttori del Barbaresco, alla posizione n. 5, ed il Tignanello 2013 di Antinori, alla n. 8. La Toscana primeggia tra le Regioni, con ben 10 etichette in classifica, seguita dal Piemonte a quota 3, quindi Veneto, Umbria, Basilicata, Puglia e Sardegna con un vino a testa. Al n. 15 c’è il Barolo Bricco delle Viole 2012 di M. Marengo, seguito, al n. 19, da Il Fauno 2012 della cantina Arcanum e, al n. 23, il Brunello di Montalcino 2011 di Mocali. Posizione n. 25 per il Borgoforte 2014 di Villa Pillo, mentre al n. 29 c’è Le Cupole 2014 di Tenuta di Trinoro. Al n. 36 c’è il Barolo Bricco delle Viole 2011 di G.D. Vajra, davanti al Chianti Classico Berardenga 2013 di Felsìna al n. 40, e al Brunello di Montalcino Riserva 2010 di Renieri. Nella seconda metà della classifica troviamo il Chianti Classico Riserva 2013 di Castello di Monsanto, al n. 58, il San Vincenzo 2015 di Roberto Anselmi al n. 60, il Primitivo di Manduria Antica Masseria del Sigillo 2014 di Tenute di Eméra al n. 63, il Vino Nobile di Montepulciano Riserva 2011 di Carpineto al n. 76, l’Aglianico del Vulture Piano del Cerro 2012 di Vigneti del Vulture al n. 86, il Grechetto dei Colli Martani Grecante 2015 di Arnaldo Caprai al n. 88, il Montessu 2014 di Agricola Punica al n. 91 e il Bolgheri 2013 de Le Macchiole al n. 97. Nella “Top 100” di Wine Enthusiast sono 16 le etichette del Belpaese, con la Sicilia che la fa da padrona, con ben 5 vini (di cui 4 dall’Etna). Tanti quanti il Piemonte, in realtà, ma con i vini della Trinacria che occupano tutte le posizioni più alte della classifica. Sul terzo gradino del podio, e primo tra gli italiani, l’Etna Rosso 2014 di Benanti . Posizione n. 8 per il Pithos 2014 di Cos, seguito, al n. 12, dall’Etna Rosso Alta Mora 2014 di Cusumano. Al n. 15 c’è il Barbaresco Sanadaive 2013 di Adriano Marco e Vittorio, poi, al n. 19 il Soave Classico Calvarino 2013 di Pieropan, davanti, al n. 25, al Brunello di Montalcino 2011 de Le Potazzine. Posizione n. 30, invece, per l’Etna Rosso Outis 2014 di Biondi, davanti al Lugana Vigne di Catullo Riserva 2013 di Tenuta Roveglia, al n. 32. Posizione n. 39, per il Barolo Acclivi 2012 di Burlotto, seguito dal Moscato d’Asti 2014 di Saracco al n. 54, e dal Brunello di Montalcino Riserva 2010 di Terralsole al 61. Al n. 70, l’Etna Bianco 2015 di Graci , seguito dal Moscato d’Asti 2015 di G. D. Vajra, al n. 73. Chiudono il gruppo degli italiani il Barbaresco Montestefano Riserva 2011 dei Produttori del Barbaresco, al n. 86, il Chianti Classico Riserva 2011 di Badia a Coltibuono al n. 93, e la Falanghina del Sannio 2015 della Fattoria La Rivolta al n. 96.

Continua anche il valzer delle guide enoiche italiane, dove il nostro ormai tradizionale “incrocio”, ha visto due etichette, mettere d’accordo le guide ai vini del Belpaese, edizione 2017: il toscano Bolgheri Sassicaia 2013 della Tenuta San Guido e il trentino San Leonardo 2011 della Tenuta San Leonardo.
Questo però se si prendono in considerazione i riconoscimenti delle 7 guide (“Tre Bicchieri” della guida Vini d’Italia Gambero Rosso, i “100 vini da bere subito”, i “100 vini da conservare” e i “100 vini da comprare” della guida Vini d’Italia de L’Espresso, che alla edizione n. 16 ha cambiato profondamente la sua struttura, giudicando però prevalentemente la qualità intrinseca dei vini , le “Tre Stelle” della guida “I Vini di Veronelli” del Seminario Permanetente Luigi Veronelli, i “Cinque Grappoli” della guida “Bibenda”, il “Grande Vino”, cioè quello che rappresenta il meglio dal punto di vista organolettico per Slow Wine di Slow Food, il “faccino” assegnato ai vini valutati con 95/100 o più dalla “Guida Essenziale ai Vini d’Italia” di Daniele Cernilli e le “Quattro Viti” di “Vitae - La Guida dei Vini” dell’Associazione Italiana Sommelier (Ais)) che costituiscono lo “zoccolo duro” sulle 9 a disposizione, perché, conservano criteri di valutazione più omogenei, sostanzialmente riconducibili al solo profilo organolettico dei vini, e non spostano la loro attenzione su parametri di giudizio molto particolari. Un elemento, quest’ultimo, che contraddistingue sia la guida “Vini Buoni d’Italia” del Touring Club, dato il suo limite dichiarato (la “corona” viene attribuita soltanto ai vini ottenuti da vitigni autoctoni, ndr), sia l’“Annuario dei migliori vini italiani” di Luca Maroni (i vini che totalizzano il punteggio più alto dell’indice di piacevolezza non fanno altro che esprimere di un vino “la piacevolezza del suo sapore, ovvero la sua fruttuosità”). Un criterio di scelta, peraltro, che abbiamo applicato fin dall’anno della prima uscita della guida Slow Wine by Slow Food (2010) ai “Vini Slow”, cioè a quei vini il cui giudizio dipende, oltre che dalla qualità organolettica, anche da caratteri legati a territorio, storia e ambiente, cioè ad elementi un po’ più fuori dalla bottiglia.

Il 2016 del mercato dei fine wine è stato tendenzialmente brillante nel suo complesso.
Ma, ovviamente, ci sono state delle superstar, etichette che, hanno mosso più denaro perché al centro del maggior numero di compravendite. A stilare la “top 10” ci ha pensato, come sempre, il benchmark “Liv-Ex”, che ha messo in fila i vini più scambiati nel “Liv-ex 1000”, il più vasto tra gli indici a disposizione, una sorta di borsa-valori del vino mondiale. Ebbene, al top assoluto c’è Château Lafite Rothschild, che occupa la prima posizione con la sua annata 2010, il cui ultimo prezzo per una cassa da 12 bottiglie è stato di 6.040 sterline, seguito dal secondo vino dello Château bordolese, il Carruades Lafite 2014 (ora quotato 1.640 sterline alla cassa). Ma sul podio c’è anche l’Italia con il Sassicaia 2013, ultima annata ad entrare sul mercato del vino simbolo della Tenuta San Guido (a 1,091 sterline).

Il 2016 è stato anche l’anno delle celebrazioni: il Vinitaly ha festeggiato, a Verona, i suoi 50 anni, con tanto di presenze illustri, dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella al premier Matteo Renzi, mentre il Chianti Classico ha ricordato solennemente i suoi 300 anni di storia da quel fatidico 1716 in cui Cosimo III Medici ebbe l’intuizione di delimitare i territori più vocati alla produzione di vino della Toscana.
Ultimo capitolo, benché molto triste, è quello che riguarda le scomparse dell’anno appena trascorso. Decisamente importanti, purtroppo: se ne è andato Giacomo Tachis, il principe degli enologi italiani e colui che è stato uno dei protagonisti indiscussi del rilancio delle etichette italiane. In Francia, invece, è mancato Denis Dubourdieu, professore dell’Università di Bordeaux, ma anche proprietario e consulente vinicolo (anche in Italia), probabilmente uno dei massimi e più acuti esperti di vino al mondo.

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