Mongolia, immensa e magnifica

Syusy racconta la festa del Nadam e i villaggi di yurte
Syusy Blady, 09 Mag 2011
mongolia, immensa e magnifica
Sono andata in Mongolia per la festa del Nadam, che si fa tutti gli anni. Ma quell’anno è stata particolarmente importante, visto che da poco Gengis Khan – a cui la festa è dedicata – è tornato il simbolo stesso della Mongolia, dopo l’indipendenza dall’influenza sovietica. In epoca sovietica infatti, alzare il vessillo di Gengis Khan aveva il significato di una ribellione. Mentre Luisa, la mia amica che fungeva da “produttrice” delle riprese televisive che andavamo a realizzare, rimaneva in ostaggio della burocrazia mongola una intera giornata della nostra permanenza ad Ulan Bator – io, Aurelio, Aykan e Silvia (gli altri componenti del gruppo) siamo andati in giro per la città. Nel suo insieme è proprio brutta, con palazzoni in stile sovietico, dove però gli ultimi arrivati dalla provincia abitano ancora, in periferia, nelle yurte. A questo proposito io ho una predilezione per questo tipo di casa-tenda, l’abitazione più antica del mondo e forse anche quella più ecologica: se ben ricordate ne abbiamo anche già parlato e scritto, sul sito e sulla rivista (potete andare a vedere sul blog www.nomadizziamoci.it, dove c’è anche il filmato Storia della mia yurta). E mi sono talmente innamorata di questo oggetto da portarmelo in Italia… Viceversa i Mongoli stanno tentando a tutti i costi di occidentalizzarsi, e qualcuno mi ha detto, quasi a scusarsi, che l’80% di loro vive ancora nelle tende. Viceversa a me questa sembra un’ottima cosa: uno stile di vita che anche noi occidentali dovremmo acquisire, o dal quale comunque dovremmo trarre degli insegnamenti. Altro che l’equazione globalizzazione = occidentalizzazione! I Mongoli abitano un territorio difficile ma meraviglioso: la sconfinata tundra a nord, verso la Siberia e il deserto del Gobi a sud.

Il tempio di ulan bator e la statua di TARA

Ma torniamo ad Ulan Bator, la capitale. Se si vuole vedere qualche cosa di storico è bene andare al Tempio Buddista, unico nel suo genere, rimasto ben conservato in città. E’ quasi un miracolo, perché è stato salvato dall’ira iconoclasta dei Sovietici che hanno distrutto moltissimi Templi della Mongolia. Nel 1937, per fortuna, in occasione della visita di un Vice Presidente americano che aveva chiesto espressamente di vederlo, i picconi si sono fermati. E il Tempio è rimasto: allora a scopo di pura rappresentanza, ma ora è tornato attivo, ci sono persino i Monaci. Infatti un piccolo monaco ci accompagna a vedere (a pagamento) la grande statua dipinta d’oro di Avalokrsiciavara. Detto così, a priori, questo nome complicato non mi aveva significato nulla, ma quando la vedo riconosco nella statua la figura di Tara, la Dea alla quale si fanno puje (preghiere collettive) nei Templi buddisti di tutto il mondo. Vale la pena di visitare il tempio perché la statua è bellissima, anche se è stata sostituita di recente, visto che l’originale era stato portato via dai Sovietici, e si dice che fosse stata addirittura fuso, per farne proiettili. Questa copia, altrettanto bella, è stata benedetta dal Dalai Lama, e al suo interno si trovano migliaia di erbe officinali e di sutra, i foglietti con le preghiere buddiste. Il buddismo in Mongolia fu introdotto dal figlio di Gengis Khan, grazie ad un Monaco che lo convinse.

LO SCIAMANO METROPOLITANO

Attorno al Santuario ci sono anche negozi, che vale la pena di visitare. Assieme alle spezie si possono trovare oggetti religiosi e simbolici da collezione, anche preziosi. In quel negozio io ho incontrato una aspirante sciamana, che mi ha portato dal suo Maestro-sciamano in un appartamento triste nei palazzoni sovietici di cui sopra. L’ambiente non era molto favorevole: lo Sciamano infatti per funzionare deve entrare in contatto con gli spiriti della terra, tant’è che se va all’estero si sente perso, perché gli spiriti sono collegati alla “sua” terra, ma il rito a cui ho potuto assistere era viceversa perfettamente originale e vero. Quindi malgrado l’avversione sovietica per la spiritualità tradizionale animista, e in particolare l’arresto di sciamani e di adepti, la tradizione ha resistito! Anche se – come in questo caso – in un brutto condominio di Ulan Bator… A sera re-incontriamo Luisa, che finalmente dopo 12 ore di attesa e 12 foto segnaletiche, ci presenta dei magnifici accrediti, tutti decorati e stampigliati in oro. Ce l’abbiamo fatta, domani si partecipa alla festa del Nadam!

LA FESTA DEL NADAM

Il Nadam è la grande festa nazionale, di stampo popolare-militar-storico-sportivo. I Mongoli si sono organizzati proprio per rappresentare il loro passato di guerrieri. E’ incredibile come possano mettere in scena centinaia di persone vestite da antichi cavalieri delle steppe, ed è incredibile anche come riescano a rappresentarsi così “cinematograficamente”: nello stadio anche gli spettatori sono estremamente scenografici e partecipi, ma lo spettacolo è fatto da bande musicali che suonano inni tradizionali e militari, dove gli uomini cantano con voci baritonali profondissime, mai sentite, e le donne con acuti incredibili: è il famoso “canto lungo”. Poi ci sono i lottatori: grossissimi, più grossi sono meglio è, vestiti (anzi, svestiti) a mostrare i loro muscoli. Prima di lottare si muovono “graziosamente” al rallentatore mimando in una danza i gesti dell’aquila. Seguono poi provetti arcieri, che si sfidano in gare di tiro. Ancora meglio se le gare vengono fatte a cavallo: è incredibile come ancora i Mongoli siano così esperti in questo esercizio difficilissimo: si tratta di scoccare la freccia nel momento in cui il cavallo è sospeso con le quattro zampe che non toccano terra. Fuori, nella steppa, c’è poi una gara di corsa a cavallo, una partecipatissima kermesse collettiva che coinvolge tutti, giovani e vecchi.

LA STEPPA

Dopo il Nadam possiamo andarcene da Ulan Bator, verso la steppa, ad ovest. Steppa che si presenta con questo spazio verde infinito, e soprattutto con questo infinito cielo. Chilometri e chilometri di Magnifico Nulla (quasi come in Patagonia), ma tante chiacchiere in pulmino, dove Aurelio (grande appassionato della Mongolia che viene qui da anni) ci racconta tutto sulla storia di Gengis Khan. E Aykan invece ci racconta come la Mongolia sia stata anche la culla del suo Popolo, i Turchi. Infatti, dopo gli Unni e gli Avari, qui ci furono i Gopturk. Che coi loro Khan (Re) come Toiuniuk, Kultechin e Bilghekhan costituirono la base della successiva espansione turca, che arrivò appunto solo molto più tardi all’odierna Turchia. Ci fermiamo a mangiare in un posto non ben identificato, in mezzo al niente. I Mongoli odiano anche solo fare l’orto, perché essendo allevatori lo considerano solo terra rubata al pascolo, quindi in Mongolia si mangia soprattutto carne (di pecora) e quasi niente verdura. Al massimo ci sono degli involtini ripieni di carne (di pecora), delle zuppe di carne (di pecora) e a volte possono anche portarti della pasta condita con un ragù (di pecora). Per fortuna si può bere un “brodo di the” salato col latte (di pecora). Bisogna però assaggiare quando è possibile la famosa “piastra” mongola, sulla quale ci si può far cuocere la carne e la verdura che si vuole. Un po’ alla giapponese, ma molto più… ruspante.

LE YURTE

Dormiamo naturalmente nel campeggio di yurte, con la stufa collocata al centro della tenda, sotto allo sfiato del soffitto, che rende molto accogliente questo alloggio spartano. Alla mattina ripartiamo. Dopo un bel po’ di chilometri incontriamo le tre yurte di una famiglia composta da genitori e figli che possiedono cavalli e cammelli. Questi ultimi sono stati appena tosati, e la lana serve per ricavarne maglioni ma anche le corde che legano le tende. Da una parte ci sono i pannelli solari che producono la luce necessaria a illuminare la tenda e a vedere, quando si può, la TV. Infatti il vecchio capo-famiglia che ci accoglie, probabilmente la sera prima era riuscito a vedere le partite dei Mondiali di calcio che noi invece avevamo perso. Ebbene sì: siamo in una vera tenda mongola di una vera famiglia mongola! Di fronte alla porticina d’entrata sta l’altare degli Antenati, a destra lo spazio delle donne e a sinistra quello degli uomini. Ci sediamo sopra delle panche basse, separati – uomini da una parte (che hanno il diritto di parlare col capo-famiglia) e donne dall’altra che fanno domande, ma con discrezione… Il vecchio offre (solo agli uomini) una tirata di tabacco e (a tutti) qualche cosa da mangiare e il solito the salato al latte. Prima di bere bisogna spargerne con le dita un pochino al cielo, e un po’ alla terra, come ringraziamento. Aykan si sente a casa, si comporta da orientale, e offre in regalo al vecchio un bracciale (africano!) che ha con sé. E il vecchio si commuove e piange! E’ una scena a suo modo rituale, ma è un bell’esempio di ospitalità mongola. Trovare una yurta, quando magari fuori d’inverno fanno 40 sottozero, e se per caso ti si ferma la macchina (o il cavallo) e quindi rischi il congelamento, è una grande fortuna, e quindi è un dovere da parte degli abitanti darti riparo e ospitalità.

KARAKORUM

Proseguendo ancora per la nostra strada arriviamo a vedere la cerchia di mura del Tempio di Karacorum, la città fondata dal figlio di Gengis Khan, visto che Gengis Khan non ha mai voluto fondare città, perché diceva che “le città si prendono”, mentre i Mongoli erano nomadi fieri di viaggiare liberi nel territorio, coi grandi carri con sopra le yurte trascinate da decine di animali da tiro. E quei carri, antesignani dei moderni camper, sono ancora raffigurati sulla cartamoneta della moderna Mongolia. Il tempio di Ertene Zu (Cento Tesori) nella sua cerchia di mura è costituito da più di 100 stupa (tempietti) bianchi. Anticamente serviva anche da fortezza che circondava gli altri Templi buddisti. All’interno delle mura a suo tempo c’erano le yurte dei monaci, che arrivarono ad essere anche trecento. A fianco del tempio c’è la città moderna di Karacorum, di cui io ho visto la Posta e il Comune. Mi ha colpito il fatto che la gente arriva alla Posta ancora a cavallo, come nel west. La Sindaca della città – era una donna infatti – ci ha ricevuto in delegazione, e aveva alle spalle il plastico di quella che secondo lei dovrebbe diventare la Karacorum del futuro: una città moderna, coi grattacieli, simile a qualsiasi altra. Io (con tutto il rispetto per la modernità) spero proprio che non succeda, e che i Mongoli conservino la loro tradizione di vivere in piccoli gruppi solidali, ben lontani gli uni dagli altri, visto che hanno a disposizione un territorio magnifico e immenso.

Syusy