Emilio Franceschini

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Emilio Franceschini è un nome fittizio con cui fu firmata la traduzione italiana de Il conte di Montecristo pubblicata negli anni 1980. In realtà si tratta di una traduzione anonima che risale al XIX secolo.[1][2]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La traduzione apparsa a firma "Emilio Franceschini" è in realtà una delle prime traduzioni italiane de Il conte di Montecristo, quella del 1869 pubblicata, anonima, da Sonzogno.[1][2] Nel 1984 la casa editrice Mondadori ripubblicò l'opera di Dumas, riproponendola con la traduzione del 1869, a sua volta ripresa dall'editore Salani: allorché si trattò d'inserire il nome del traduttore, i curatori dell'edizione scelsero lo pseudonimo "Emilio Franceschini".[1][2] Le caratteristiche della traduzione "Franceschini" sono la presenza di arcaismi[1] e uno stile ripetitivo e poco scorrevole, ottenuto ricalcando il testo dello stesso Dumas.[3] Inoltre, la traduzione è incompleta e manca di alcune parti presenti invece nel testo originale.[4] La traduzione "Franceschini" è stata riproposta da molti editori italiani, con poche variazioni, fino a tutti gli anni 2000.[1][2]

La vicenda dell'invenzione del traduttore Emilio Franceschini è stata scoperta dall'editore Carmine Donzelli, che ha pubblicato nel 2010 una nuova traduzione de Il conte di Montecristo, illustrando nell'introduzione le sue ricerche e la conclusione cui lo avevano portato.[5] A parere dello stesso Donzelli, la traduzione "Franceschini" è stata tanto a lungo ripubblicata, quasi immutata, perché il romanzo di Dumas era considerato poco importante (lo stesso Umberto Eco, nel suo saggio Elogio del Montecristo, sostiene che il libro sia stato a lungo considerato paraletteratura[6]), e che quindi non gli sia stata dedicata molta attenzione al momento di verificare la correttezza della traduzione.[1][2]

Tagli e censure ne Il conte di Montecristo[modifica | modifica wikitesto]

Ecco di seguito alcune delle censure apportate da Emilio Franceschini al testo originale. A sinistra vi è la sua traduzione, a destra quella di Lanfranco Binni dell'edizione Garzanti.

Capitolo XII[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

«Il re! Volete sapere come sono andate le cose?»

(IT)

«Il re! Lo credevo abbastanza filosofo da capire che in politica non esistono assassinî. In politica, mio caro, lo sapete quanto me, non ci sono uomini ma idee; non sentimenti ma interessi; in politica non si uccide un uomo: si elimina un ostacolo, ecco tutto. Volete sapere com’è andata?»

Capitolo XVI[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

«<<Perché ho sognato nel 1807 il progetto che Napoleone ha tentato di realizzare nel 1811.>> E il vecchio abbassò la testa. Dantès non capiva come un uomo poteva arrischiare la sua vita per simili interessi. È vero però che, se egli conosceva Napoleone per avergli parlato una volta, non sapeva quali fossero stati i suoi progetti»

(IT)

«<<Io? Perché ho sognato nel 1807 il progetto che Napoleone ha voluto realizzare nel 1811; perché come Machiavelli in mezzo a tutti quei principucoli che facevano dell'Italia un nido di staterelli tirannici e deboli, ho voluto un grande ed unico impero, unito e forte; perché ho creduto di trovare il mio Cesare Borgia in un inetto coronato che finse di capirmi per meglio tradirmi. Era il progetto di Alessandro VI e di Clemente VII; fallirà sempre perché da loro è stato iniziato malamente e Napoleone non ha potuto completarlo. Decisamente l'Italia è maledetta!>> E il vecchio chinò la testa. Dantès non capiva come un uomo potesse rischiare la vita per simili interessi; è anche vero che, se conosceva Napoleone per averlo visto e avergli parlato, in compenso non sapeva affatto chi fossero Clemente VII e Alessandro VI»

Capitolo XVII[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

«La filosofia non s’impara, la filosofia è la riunione delle scienze imparate nel genio che le applica»

(IT)

«La filosofia non s’impara; la filosofia è l’unione delle conoscenze acquisite e del genio che le applica: la filosofia è la nube splendente sulla quale Cristo posò il piede per risalire in cielo»

Capitolo XX[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

«Non era meglio morire, anche col rischio di passare per la lugubre porta dei patimenti?»

(IT)

«Non era meglio, come Faria andare a chiedere a Dio la spiegazione dell'enigma della vita, a rischio di passare per la lugubre porta delle sofferenze?»

Capitolo XXIII[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

«Il difetto non era di Dantès, ma della nostra natura che crea desideri infiniti»

(IT)

«La colpa non era di Dantès ma di Dio che, limitando la potenza dell'uomo, ha suscitato in lui desideri infiniti!»

Capitolo XXXI[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

«Diavolo! Questo cambia tutto: sei giorni! Sarebbe troppo»

(IT)

«Questo cambia tutto. Sei giorni! Il tempo che è servito a Dio per creare il mondo. È un po' troppo ragazzi miei»

(IT)

«Accade dei pirati come degli assassini, che quantunque siano creduti sterminati, pure aggrediscono tutt'i giorni i viaggiatori fin sotto le porte della città. È successo presso Velletri, saranno passati sei mesi»

(IT)

«Per i pirati vale la stessa storia dei banditi che sarebbero stati sterminati dal Papa Leone XII e che tuttavia fermano ogni giorno i viaggiatori fino alle porte di Roma. Non avete sentito dire che solo sei mesi fa l'incaricato d'affari di Francia presso la Santa Sede è stato rapinato a cinquecento passi da Velletri?»

(IT)

«Senza dubbio, essi sono stati perseguitati non per altro, che per aver fatta la pelle a qualcuno, mossi da spirito di vendetta (del che non li lodo), ma pure accade così»

(IT)

«Sono sicuramente perseguitati per aver fatto la pelle a qualcuno, non per altro; come se la vendetta non fosse nella natura di un corso!»

(IT)

«<<Voi avete molto sofferto, signore?>> <<Da che lo arguite?>> disse. <<Da tutto>> rispose Franz, <<dalla vostra voce, dal vostro sguardo e dalla vita stessa che conducete>> <<Io conduco la vita più felice che si conosca, una vera vita da pascià: mi piace un luogo, vi resto»

(IT)

««Avete sofferto molto, signore?» gli disse Franz. Simbad trasalì e lo guardò fisso. «Da che cosa lo capite?» domandò. «Da tutto – rispose Franz: – dal vostro sguardo, dal vostro pallore, dalla vita stessa che conducete». «Io! Conduco la vita più felice che conosca, una vera vita da pascià; sono il re del creato: se mi piace un luogo, mi fermo»

(IT)

«L'obbedivano ciecamente»

(IT)

«Obbedivano ai suoi ordini come a quelli di Dio»

(IT)

«Allora per Franz che subiva per la prima volta l'effetto dell'hashish, fu una voluttà, come quello che prometteva il Vecchio della Montagna ai suoi seguaci»

(IT)

«Allora fu una voluttà senza tregua, un amore senza sosta, come quello che il profeta prometteva ai suoi eletti. Allora tutte quelle bocche di pietra divennero vive, tutti quei petti cominciarono a palpitare, al punto che per Franz, che per la prima volta subiva il dominio dell'ascisc, quell'amore era quasi un dolore, quella voluttà quasi una tortura, quando sentiva posarsi sulla bocca riarsa le labbra di quelle statue, morbide e fredde come le spire di un serpente; ma quanto più le sue braccia cercavano di respingere quell'amore sconosciuto, tanto più i suoi sensi subivano il fascino di quel sogno misterioso, al punto che, dopo una lotta in cui profuse ogni energia del suo animo, si abbandonò senza più resistere e finì per soccombere, ansimante, estenuato dalla fatica, esausto di voluttà, sotto i baci delle tre amanti di marmo e l'incantesimo di quel sogno inaudito»

Capitolo XXXIV[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

«Farei in modo di parlare ad uno che conosco pregandolo di ottenere che l'esecuzione si differisca a quest'altro anno: quindi nel corso dell'anno tornerei a parlare con commovente eloquenza ad un altro tale che pure conosco, e lo farei evadere di prigione»

(IT)

«Darò diecimila piastre ad una mia conoscenza, che otterrà il rinvio dell’esecuzione di Peppino al prossimo anno; poi, nel corso dell’anno, darò altre mille piastre a un'altra mia conoscenza, e lo farò evadere dal carcere.»

(IT)

«Le graziose contesse genovesi, fiorentine e napoletane si erano conservate per i loro mariti, per i loro amanti, ed Alberto aveva acquistata la crudele convinzione che le italiane sanno essere almeno fedeli»

(IT)

«Le incantevoli contesse genovesi, fiorentine e napoletane, si erano conservate, non per i loro mariti ma per i loro amanti, e Albert aveva maturato la crudele convinzione che le italiane avessero sulle francesi almeno il vantaggio di restare fedeli alla propria infedeltà»

Capitolo XXXV[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

«Allungò una mano, e tirò il cordone del campanello. Subito entrò un individuo»

(IT)

«Allungò una mano verso il cordone del campanello, e lo tirò tre volte. «Vi siete mai occupato – disse a Franz, - dell'impiego del tempo e del modo di semplificare gli andirivieni dei domestici? Ho fatto uno studio: suono una volta per chiamare il mio cameriere, due volte per l'albergatore, tre per l'intendente, in questo modo non perdo né un minuto né una parola. Ma ecco il nostro uomo.» Entrò un individuo»

(IT)

«Non c'è nella vita una preoccupazione più grave di quella della morte... Ebbene non è curioso studiare in quanti differenti modi l'anima può uscir dal corpo, e come, secondo i caratteri, i temperamenti, ed anche i costumi dei paesi, gl'individui sopportino questo supremo passaggio?»

(IT)

«Nella vita esiste una sola grave preoccupazione, ed è la morte. Ebbene! non è curioso studiare in quali diversi modi l’anima può uscire dal corpo, e come, secondo i caratteri, i temperamenti e gli stessi costumi di ogni paese, gli individui sopportino questo supremo passaggio dall'essere al nulla? Quanto a me di una cosa sono sicuro: più si è visto morire, più diventa facile morire: così, a mio avviso, la morte è forse un supplizio, ma non un'espiazione»

(IT)

«Senza calcolare che a volte è il reo che riporta il vantaggio nel duello, e viene così scolpato agli occhi del mondo.»

(IT)

«Senza contare che spesso è lui a uscire trionfante dal duello, ripulito dalle sue colpe agli occhi del mondo e in qualche modo assolto da Dio»

(IT)

««Voi disapprovate dunque il duello? Dunque non vi battereste in duello?» domandò a sua volta Alberto, meravigliato nel sentire una tale teoria. «No certamente, non mi batterei» disse il conte.

«Ma – disse Franz al conte, – con questa teoria che vi istituisce giudice ed esecutore nella vostra causa, sarebbe difficile contenervi nei limiti e fuggire gli estremi, che sono sempre pericolosi; e converrete senza difficoltà, che l'odio è cieco, la collera sorda, e colui che vi mesce la vendetta, corre il pericolo di bere una bevanda amara» «Anche questo può essere vero, e qualche volta abbiamo visto avverarsi ciò che ora affermate»»

(IT)

««Dunque disapprovate il duello? non vi battereste in duello?» chiese a sua volta Albert, stupito di sentire una così strana teoria. «Oh sì! - rispose il conte – ma intendiamoci: mi batterei in duello per una sciocchezza, per un insulto, per una smentita, per uno schiaffo, e con tanta più noncuranza in quanto, grazie all'abilità che ho acquisito in tutti gli esercizi del corpo ed alla lenta abitudine al pericolo, sarei quasi sicuro di uccidere il mio avversario. Oh sì! Mi batterei in duello per queste cose; ma per un dolore lento, profondo, infinito, eterno, restituirei, se fosse possibile, un dolore pari a quello che mi hanno fatto soffrire: occhio per occhio, dente per dente, come dicono gli orientali, nostri maestri in ogni cosa, quegli eletti della creazione che hanno saputo costruirsi una vita di sogni ed un paradiso di realtà » «Ma – disse Franz al conte, – con questa teoria che vi istituisce giudice e carnefice nella vostra causa, è difficile che vi conteniate nei giusti limiti, in modo da evitare di volta in volta i rigori della legge. L’odio è cieco, la collera stordisce, e colui che si versa la vendetta rischia di bere un’amara pozione». «Sì, se è povero e maldestro, ma non se è abile e milionario»»

(IT)

«Anzi Alberto faceva onore alla colazione come un uomo condannato da quattro o cinque mesi ad una cucina ben differente dalla sua.»

(IT)

«Anzi, al contrario, faceva onore alla tavola come un uomo condannato da quattro o cinque mesi alla cucina italiana, cioè una delle peggiori al mondo.»

(IT)

«Ma l'uomo, a cui Iddio ha imposto per prima, per unica, per suprema legge l'amore del prossimo, l'uomo a cui Iddio ha dato la parola per esprimere il pensiero, ora vedetelo qui con i vostri propri occhi, che va sulle furie perché va a morir solo, perché sa che il compagno è salvo. In verità, non me lo sarei mai aspettato! Ecco là, non più terrore, non più rassegnazione; oh, disgraziata creatura, quanto è lacrimevole la tua sorte!»

(IT)

«Ma l'uomo, l'uomo che Dio ha fatto a sua immagine, l'uomo al quale Dio ha imposto come prima legge l'amore per il prossimo, l'uomo al quale Dio ha dato una voce per esprimere il suo pensiero, quale sarà il suo primo grido quando saprà che il suo compagno è salvo? Una bestemmia. Onore all'uomo, questo capolavoro della natura, questo re della creazione!»

(IT)

«I due aiutanti avevano portato con grande stento il paziente ai piedi della scala fatale. Il misero si dibatteva, si contorceva e puntava i piedi, gettandosi con tutta la persona all'indietro. Uno di quei due tentò di acquistare qualche vantaggio col salire alcuni scalini dalla sua parte, e tirarlo a sé mentre l'altro lo avrebbe sospinto all'insù. In quell'attimo il carnefice lo afferrò per la vita e lo sollevò da terra. Il misero, senza punto d'appoggio e tirato e sospinto, in un attimo fu sotto al laccio»

(IT)

«I due aiutanti avevano portato il condannato al patibolo, e là, nonostante i suoi sforzi, i suoi morsi, le sue grida, lo avevano costretto a mettersi in ginocchio. Intanto il boia si era piazzato di lato, con la mazza sollevata; a un suo segnale i due aiutanti si scostarono. Il condannato tentò di rialzarsi, ma prima di averne avuto il tempo la mazza si abbatté sulla sua tempia sinistra; su udì allora un rumore sordo e cupo: il condannato cadde come un bue, la faccia a terra, poi per il contraccolpo si rovesciò sulla schiena: allora il boia abbandonò la mazza, prese il coltello dalla cintura, con un solo colpo lo sgozzò e, saltandogli sul ventre, si mise a pestarlo con i piedi. Ad ogni pressione, un fiotto di sangue sprizzava dal collo del condannato»

Capitolo XXXVI[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

«Avviene del moccoletto ciò che accade alla vita degli uomini. Per quanto è in potere loro, si adoperano a conservarla, e sebbene certi che presto o tardi debba aver fine, tuttavia hanno indagato e scoperto mille modi per reciderla»

(IT)

«Il moccoletto è un po’ come la vita: per trasmetterla, l'uomo ha trovato un solo modo, che sta nelle mani di Dio. Però ha scoperto mille modi per toglierla.»

Capitolo XXXVIII[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

«Ventiquattro mila lire nella nostra moneta, somma per la quale non mi avrebbero tanto stimato in Francia»

(IT)

«equivalgono a ventiquattromila franchi, molto più di quanto mi avrebbero valutato in Francia; questo prova – aggiunse Albert ridendo - che nessuno è profeta in patria»

Capitolo XL[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

««Davvero» disse, «gli uomini non sono tutti eguali.»»

(IT)

««Decisamente – disse, – gli uomini non sono tutti eguali; dovrò pregare mio padre di sviluppare questo teorema alla Camera alta».»

Capitolo XLII[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

««Tutto ciò non può essere opera del caso.» «Ebbene vediamo, signor corso, io suppongo sempre tutto...»»

(IT)

««Tutto questo non può essere opera del caso: somiglierebbe troppo alla Provvidenza». «Ebbene, vediamo, signor còrso, supponiamo che si tratti della Provvidenza; per quanto mi riguarda, sono sempre aperto a qualunque supposizione».»

Capitolo XLIII[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

««Ciò mostrava che tu avevi fede...» disse Montecristo»

(IT)

««Questo – disse Montecristo – è meno rigoroso della vostra filosofia; si tratta solo di fede».»

Capitolo XLIV[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

««Non lo sperate, Bertuccio» disse il conte. «I cattivi non muoiono così, sembra che Dio li prenda per farne gli strumenti della sua giustizia»»

(IT)

««Non lo sperate, Bertuccio – disse il conte; – i malvagi non muoiono così: sembra che Dio li prenda sotto la sua protezione per farne gli strumenti delle sue vendette».»

(IT)

«Voi sapete tutto, signor conte, siete il mio giudice quaggiù»

(IT)

«Ora – continuò l’intendente chinando la testa, – sapete tutto, signor conte; siete il mio giudice quaggiù come Dio lo sarà lassù»

(IT)

«Rientrate dunque, Bertuccio, e andate a dormire in pace»

(IT)

«Rientrate dunque, Bertuccio, e andate a dormire in pace. Se il vostro confessore, nel momento supremo, sarà meno indulgente dell'abate Busoni, fatemi venire se sarò ancora in questo mondo, e troverò delle parole che culleranno dolcemente la vostra anima nel momento in cui sarà pronta a mettersi in strada per quell'arduo viaggio che si chiama eternità»

Capitolo XLVII[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

«La legge del taglione che ho ritrovata la più conforme al bisogno e la più esaustiva»

(IT)

«La legge del taglione, che ho trovato la più conforme al cuore di Dio»

(IT)

«Voi vedete ogni cosa sotto il punto di vista più ristretto, più circoscritto che sia stato permesso all'umana intelligenza di abbracciare»

(IT)

«Vedete ogni cosa dal punto di vista materiale e volgare della società, che comincia con l’uomo e finisce con l’uomo,cioè dal punto di vista più ristretto e limitato che sia permesso all’intelligenza umana di praticare»

(IT)

«Ho desiderato di essere fatto strumento della Provvidenza»

(IT)

«Anch’io, come è accaduto a ogni uomo una volta nella vita, sono stato trasportato da Satana sulla montagna più alta della terra; da lassù mi mostrò il mondo intero e, come aveva detto a Cristo, mi disse: “Allora, figlio degli uomini, che cosa vuoi per adorarmi?”. Riflettei a lungo, perché da molto tempo il mio cuore era divorato da una terribile ambizione; poi gli risposi: “Ascolta, ho sempre sentito parlare della Provvidenza, ma non l’ho mai vista né ho mai visto qualcosa che le somigli, il che mi fa pensare che non esista. Voglio essere la Provvidenza perché so che al mondo non c’è niente di più bello, di più grande e di più sublime che ricompensare e punire”. Ma Satana abbassò la testa e sospirò: “Ti sbagli – disse, – la Provvidenza esiste; ma non la vedi perché, essendo figlia di Dio, è invisibile come suo padre. Non hai visto niente che le somigli perché agisce in segreto e per vie oscure; tutto quello che posso fare per te è di farti diventare uno degli emissari della Provvidenza”. Il patto fu concluso; forse ci perderò la mia anima, ma non importa – aggiunse Montecristo; – quel patto lo rifarei»

(IT)

«Vi è, per esempio, l'apoplessia, questo colpo di fulmine che vi colpisce senza distruggervi, ma dopo il quale però tutto è finito; siete sempre voi, e ciò nonostante non siete più voi. Venite, se vi piace continuare questa conversazione, venite in casa mia, signor conte, un giorno che abbiate volontà d'incontrarvi in un avversario capace di comprendervi ed avido di confutarvi e vi mostrerò mio padre, il signor Noirtier Villefort, un uomo che come voi, non aveva forse veduto tutti i regni della terra, ma aveva aiutato a rovesciarne uno dei più forti; un uomo che come voi si credeva inviato da Dio, dall'Essere supremo, dalla Provvidenza... Ebbene, signore, la rottura di un vaso sanguigno in un lobo del cervello ha rovinato tutto questo; non in un giorno, non in un'ora, ma in un secondo. Il giorno prima il signor Noirtier disprezzava tutto, il giorno dopo era quel povero Noirtier vecchio immobile, abbandonato alla volontà dell'essere più debole della casa, vale a dire sua nipote Valentina; infine cadavere muto e agghiacciato, che vive senza gioie, e spero, senza soffrire»

(IT)

«L’apoplessia, quel colpo di fulmine che vi colpisce senza distruggervi, ma dopo il quale tutto è finito. Siete ancora voi, e tuttavia non lo siete più; voi che eravate un angelo, come Ariele, non siete ormai altro che una massa inerte che, come Calibano, è una bestia; tutto questo nella lingua umana si chiama semplicemente, come vi dicevo, apoplessia. Venite, vi prego, a continuare questa conversazione a casa mia, signor conte, un giorno che avrete voglia di incontrare un avversario capace di comprendervi e avido di confutarvi, e vi mostrerò mio padre, il signor Noirtier di Villefort, uno dei più accesi giacobini della Rivoluzione francese, cioè la più brillante audacia messa al servizio della più vigorosa organizzazione; un uomo che forse non aveva visto, come voi, tutti i regni della terra, ma che aveva contribuito a rovesciarne uno dei più potenti; un uomo che, come voi, si credeva inviato, non da Dio ma dall’Essere supremo, non dalla Provvidenza ma dal Fato; ebbene, signore, la rottura di un vaso sanguigno in un lobo del cervello ha spezzato tutto questo, non in un giorno, non in un’ora, ma in un secondo. Il giorno prima il signor Noirtier, ex giacobino, ex senatore, ex carbonaro, che rideva della ghigliottina, rideva del cannone, rideva del pugnale, il signor Noirtier che giocava con le rivoluzioni, il signor Noirtier per il quale la Francia non era altro che una grande scacchiera dalla quale dovevano sparire pedine, torri, cavalli e regine per dare scacco matto al re, il signor Noirtier, così temibile, il giorno dopo era quel povero signor Noirtier, vecchio immobilizzato, sottoposto alla volontà dell’essere più debole della casa, cioè di sua nipote Valentine; un cadavere muto e freddo, che vive senza soffrire solo per dare il tempo alla materia di arrivare senza scosse alla sua completa decomposizione»

(IT)

«Sono un poco medico, e qui rammenterò che la Provvidenza si palesa nei fatti che ci cadono sotto gli occhi, e non potete negarlo»

(IT)

«Sono un po' medico, e più di una volta, come i miei colleghi, ho cercato l’anima nella materia vivente o nella materia morta; come la Provvidenza, è rimasta invisibile ai miei occhi, anche se presente al mio cuore.»

Capitolo LI[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

«Gli orientali sono più coraggiosi di noi, ecco tutto»

(IT)

«Gli orientali sono più forti di noi nei casi di coscienza, ed hanno prudentemente eliminato l'inferno, ecco tutto»

(IT)

««Resta la coscienza» disse la signora di Villefort con voce commossa e soffocando un sospiro. Montecristo voleva continuare, ma lei lo interruppe come per cambiare discorso. «Tutto mi conduce a stimarvi» disse «per un gran chimico, e quell'elisir che avete fatto prendere a mio figlio, che lo ha così rapidamente richiamato alla vita...»»

(IT)

««Resta la coscienza» disse la signora di Villefort con voce emozionata e soffocando un sospiro. «Sì – disse Montecristo, – sì, fortunatamente resta la coscienza, senza la quale saremmo terribilmente sventurati. Dopo ogni azione un po’ energica, è la coscienza a salvarci, fornendoci mille buone giustificazioni di cui siamo i soli giudici; e queste ragioni, per quanto eccellenti per conservarci il sonno, sarebbero probabilmente di scarso valore davanti a un tribunale per conservarci la vita. Così, per esempio, Riccardo III dovette sentirsi meravigliosamente servito dalla sua coscienza dopo la soppressione dei due figli di Edoardo IV; in effetti poteva dire a se stesso: “Questi due figli di un re crudele e tirannico, che avevano ereditato i vizi del padre che solo io riconobbi nelle loro inclinazioni giovanili, questi due figli mi erano da ostacolo per assicurare la felicità al popolo inglese, al quale avrebbero inevitabilmente assicurato la rovina”. Nello stesso modo fu servita dalla sua coscienza lady Macbeth che voleva, qualunque cosa ne abbia detto Shakespeare, dare un trono non al marito ma al figlio. Ah, l’amore materno è una così grande virtù, un movente talmente potente, che si fa perdonare molte cose; così, dopo la morte di Duncan, lady Macbeth sarebbe stata molto sventurata senza la sua coscienza».

La signora di Villefort assimilava avidamente quelle massime spaventose e quegli orribili paradossi spacciati dal conte con l’ingenua ironia che gli era propria.

Poi, dopo un attimo di silenzio:

«Sapete, signor conte – disse lei, – che le vostre argomentazioni sono terribili e che vedete il mondo sotto una luce un po’ livida? È forse guardando l’umanità attraverso gli alambicchi e le storte che l’avete giudicata così? Perché avevate ragione: voi siete un grande chimico, e quell’elisir che avete fatto prendere a mio figlio, e che l’ha fatto rinvenire con tanta rapidità…».»

Capitolo LXXXVIII[modifica | modifica wikitesto]

(IT)

««Mi rammento di aver trovato scritto, né m'inganno» disse Montecristo: «”Le colpe dei padri ricadranno sui figli fino alla terza e quarta generazione”.»»

(IT)

««È scritto nel Libro sacro – rispose Montecristo, – “Le colpe dei padri ricadranno sui figli fino alla terza e alla quarta generazione”. Poiché Dio ha dettato queste parole al suo profeta, perché sarei migliore di Dio?» «Perché Dio ha il tempo e l’eternità, due cose che sfuggono agli uomini». Montecristo emise un sospiro che sembrava un ruggito, e si prese i bei capelli tra le mani.»

(IT)

«Voi dite ciò, Mercedes? E che direste se sapeste tutta l'estensione del sacrificio che vi offro? Voi non ne avete una idea, o piuttosto, no, no, voi non potrete mai farvi un'idea di ciò ch'io perdo, perdendo la vita in questo momento.»

(IT)

«Voi dite così, Mercedes; e che direste dunque se sapeste quanto è davvero grande il sacrificio che faccio per voi? Supponete che il Signore supremo, dopo aver creato il mondo, dopo aver fertilizzato il caos, si fosse fermato al terzo giorno della creazione per risparmiare a un angelo le lacrime che i nostri crimini avrebbero fatto sgorgare un giorno dai suoi occhi immortali; supponete che dopo aver preparato tutto, plasmato tutto, fecondato tutto, al momento di ammirare la sua opera Dio avesse spento il sole e risospinto con il piede il mondo nella notte eterna; allora avreste un’idea, o piuttosto no, non potreste ancora farvi un’idea, di ciò che perdo, perdendo la vita in questo momento»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f Mario Baudino, Il fantasma di Montecristo, in La Stampa, 24 giugno 2010. URL consultato l'8 marzo 2012 (archiviato dall'url originale il 3 luglio 2010).
  2. ^ a b c d e Luca Crovi, La vera storia del Conte di Montecristo, in Il Giornale, 9 luglio 2010. URL consultato l'8 marzo 2012.
  3. ^ Eco, p. VII-IX.
  4. ^ Miccinelli; Animato, p. 18.
  5. ^ Dumas, p. VI.
  6. ^ Eco, p. VII.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, introduzione di Umberto Eco, Milano, Rizzoli, 1998, ISBN 978-88-17-00967-6.
  • Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, a cura di Gaia Panfili, Roma, Donzelli, 2010, ISBN 88-6036-403-5.
  • Clara Miccinelli; Carlo Animato, Il Conte di Montecristo. Favola alchemica e massonica vendetta, Roma, Edizioni Mediterranee, 1991.
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