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Esteri

Angela Merkel: la vendita di armi a "stati canaglia" (e relative implicazioni con il terrorismo) potrebbe inguaiare la Cancelliera

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La Merkel ha un "voluminoso" problema di vendita di armi a stati da molti considerati canaglia - con i conseguenti rivoli che potrebbero condurre verso il terrorismo internazionale - che rischia di irrompere nella campagna elettorale. “A lungo abbiamo deplorato la continua incoerenza tra i principi legali e il dichiarato desiderio di introdurre misure più restrittive riguardo l’esportazione di armi e l’approvazione di qualcosa che è tutto, fuorché restrittiva”.

A parlare così, la scorsa settimana, è stato Martin Dutzmann, presidente del Gkke, comitato che riunisce le più alte cariche delle chiese cattolica e protestante in Germania. La Merkel e il suo governo sono da circa una settimana al centro di un dibattito politico e mediatico in grado, come dimostrano le affermazioni di Dutzmann, di mettere a repentaglio anche il consueto appoggio dell’apparato ecclesiastico alla CDU (ovvero Christlich Demokratische Union Deutschlands, Unione Cristiano-Democratica di Germania).

Dati e fatti. Nel 2015 il volume d’affari generato dalle licenze di vendite d’armi all’estero approvate dal governo è stato di 12,82 miliardi di euro, quasi il doppio di quanto autorizzato l’anno precedente (7,5 miliardi di euro).

In passato Sigmar Gabriel, ministro dell’Economia della coalizione di governo in quota socialdemocratici (e probabile sfidante della Merkel alle elezioni del prossimo autunno) aveva dichiarato che la Germania avrebbe fermato le esportazioni verso Paesi fuori della Nato. In seguito provò anche a fermare una consegna diretta al Qatar, ma fu messo in minoranza dal Consiglio Federale per la Sicurezza. Fu uno dei pochi, documentati tentativi di frenare un flusso costante di vendite d’armi tedesche verso l’Arabia Saudita, paese da una parte considerato “canaglia”, dall’altro ormai “abituale” cliente dei fabbricanti d’armi teutonici come del resto conferma un articolo della settimana scorsa pubblicato sul der Spiegel.

Il governo, dopo essersi consultato con la Francia, avrebbe approvato un’importante vendita di spolette realizzate dalla Junghans Microtec (azienda del Baden-Württemberg) proprio all’Arabia Saudita. Se da una parte appare scontato l’utilizzo che il Paese mediorientale ne farà/sta già facendo nella guerra con lo Yemen iniziata a marzo 2015 e costellata da diversi attentati terroristici (l’ultimo, due giorni fa, ha causato più di 40 vittime), dall’altra si teme che quelle stesse armi possano poi finire nelle mani dei locali salafiti affiliati all’Isis.

Secondo un approfondito studio dei servizi segreti tedeschi e dell'Ufficio federale per la protezione della costituzione reso pubblico lo scorso 12 dicembre dalla Süddeutscher Zeitung, associazioni religiose come la saudita Muslim World League e la kuwatiana Revival Of Islamic Heritage Society (proibita negli States) sarebbero tra i maggiori finanziatori di moschee e centri di reclutamento di salafiti in Germania tra cui uno spazio di 3300 metri quadrati ad Offingen, la cui apertura è stata recentemente bloccata dalla polizia perché facente parte di “un preciso piano strategico per la predicazione” in Nordreno-Vestfalia.

Nel frattempo il ministro della difesa Ursula Van der Leyen visitava l’Arabia Saudita e definiva le relazioni tra i due paesi come “eccellenti”. Le opposizioni (Linke in particolare) sono insorte, ma dal governo ancora nessuna risposta. L’incoerenza tra la preoccupazione di facciata e le effettive conseguenze sulle decisioni politiche di governo appare palese. Alla Merkel il compito di rendere più trasparente un atteggiamento che, in realtà, sembra più che mai chiaro. Pecunia non olet.

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