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Centro per migranti di Cona (Ve): 620 persone in mezzo al nulla

Report della visita della Campagna LasciateCIEntrare e Melting Pot Europa

La Tendopoli di Conetta, centro di accoglienza per migranti si trova nel nulla. Un nulla che ha molteplici aspetti.
Dopo aver attraversato centri scarsamente abitati, dove le persone si recano per lo più per riposare o dormire dopo aver lavorato altrove durante la giornata, arriviamo a Conetta. Non ci sono bar, non c’è un piccolo spaccio per alimenti. Una piazzetta spoglia e disadorna circondata da case colorate. Dove appena arrivati si ferma accanto a noi una macchina che ci seguirà per tutta la giornata: la digos.
Sicuramente luogo in cui recuperare le forze, ma certamente non un luogo in cui si potrebbe mai pensare ad un’inclusione sociale.
Gli stessi migranti che incontriamo prima di entrare al centro preferiscono restare all’interno. “Fuori non c’è niente”. Nei mesi precedenti pare che, siccome la zona è “cavalcata” da un fortissimo vento, la tendostruttura issata per “accogliere” i migranti si sia sollevata. Si è dovuto intervenire poi rigettandone le basi.

Camminiamo lungo una strada sterrata, dove alla fine ci accoglie il cancello dell’ex caserma e le telecamere di sorveglianza. Qui ci attende il coordinatore organizzativo di Ecofficina, Simone Borile, insieme alla moglie (e Presidente di Ecofficina), Sara Felpati, a due rappresentanti della Prefettura (incluso il viceprefetto) e ad un’assistente sociale.
Ecofficina è una cooperativa sorta nel 2011, come gruppo dedicato alla gestione dei rifiuti e dalla fine di marzo del 2014 entrata in ambito accoglienza. Con questo passaggio “il suo valore di produzione è passato dagli iniziali 114 mila euro a un milione e 145 mila” (fonte: Finanzaonline; articolo di Andrea Priante del 4 aprile 2016). Al momento i suoi responsabili sono indagati dalla Procura di Padova per reati di truffa aggravata e falsità materiale nell’ambito dell’accoglienza dei richiedenti asilo.
In Veneto gestiscono diverse strutture: oltre il centro di Cona, anche gli “hub” di Bagnoli e della Prandina a Padova e alcuni centri SPRAR per un totale che supera i 1200 richiedenti asilo accolti (la maggior parte dei quali nei tre mega-centri di Cona, Bagnoli e della Prandina).

Il Centro di Cona non è un CAS, non è un CARA, non è un hub. E’ un luogo “temporaneo emergenziale” che sopperisce alla mancata accoglienza dei comuni veneti, i cui sindaci rifiutano di accogliere richiedenti asilo. Al momento sono ospitate circa 620 persone, di almeno 25 nazionalità differenti.
L’agibilità della tendopoli è stata regolarmente acquisita tramite parere dell’ASL che il giorno 1 aprile 2016 ha inviato la sua relazione spiegando che la struttura può ospitare 540 persone, considerando che, come ci dice lo stesso Simone Borile, per ogni persona bastano 3,50 metri quadrati e occorre che vi sia un bagno e una doccia ogni 12 persone. Al momento non siamo riusciti a reperire il documento ufficiale dell’ASL ed è nostra intenzione farne richiesta e chiarire come si sia potuta dichiarare “idonea” una struttura che presenta gravi situazioni di sovraffollamento e una totale mancanza di privacy (senza considerare il fatto che al momento vi sono almeno 80 persone in più rispetto alle 540 presenti al momento della visita dell’ASL).
Ci sono due grandi tendostrutture in due aree separate, adibite a dormitorio. Altri due caseggiati in muratura zeppi di letti a castello. Container con docce e bagni. Tutto ripulito per oggi. Ce ne accorgiamo da alcuni dettagli: operatori guantati che si affrettano a ripulire e togliere i segni di un lavoro fatto per l’occasione. E ce lo dicono alcuni dei richiedenti asilo (nei rari momenti in cui riusciamo ad interagire con loro senza che le nostre “guide” ci mettano fretta o ci portino subito con loro per proseguire il giro del centro). “Stanno pulendo perchè oggi ci siete voi, fanno sempre così quando ci sono delle persone esterne che entrano”, ci dicono diversi richiedenti asilo amareggiati.
Prima del tendone vi è l’infermeria con annessa area quarantena, almeno così ci dice il coordinatore. Un folto gruppo di migranti si trova seduto in attesa all’esterno dell’infermeria dove pare oggi si facciano le vaccinazioni. Uno dei migranti con cui riusciamo a parlare con un attimo di privacy ci dice “non c’è nessuna vaccinazione oggi. Tutto falso”. Effettivamente uno degli operatori ci dichiara, durante la passeggiata in questo girone infernale, che le vaccinazioni si fanno sempre all’esterno, dove i migranti vengono accompagnati grazie ad un pulmino messo a disposizione dalla stessa Ecofficina.

Nel tendone al centro dell’area si tiene un concerto di lezioni di italiano: “io ho, tu hai…”, in perfetto stile teatrino per ospiti. In questa zona incontriamo circa 5 giovani migranti due dei quali appaiono veramente piccoli. Spieghiamo loro che i minori di 18 anni hanno diritto a stare in luoghi idonei e a ricevere un’accoglienza di tipo diverso. Soprattutto sottolineiamo che la dichiarazione falsa iniziale non è perseguita e che sono in tempo per dire eventualmente la loro vera età.
Dalle informazioni da noi raccolte risulta che ogni settimana sottopongono circa 25 persone alla radiografia del polso. Probabilmente, l’interesse dell’ente gestore non è capire realmente chi è minore per garantire un’accoglienza idonea e di conseguenza l’esame del polso (ricordiamo comunque che numerosi studi e sentenze lo hanno definito non attendibile) viene richiesto solo per coloro che si dichiarano minori.

Ce ne andiamo continuando il nostro “tour”, ci accorgiamo che uno dei mediatori prima del nostro arrivo ci indica e dice ad alcuni richiedenti asilo che noi siamo “carabinieri”. Uno scherzo o un avvertimento? Così riceviamo alcuni sguardi di sospetto. E sempre lo stesso mediatore in un paio di occasioni ci “anticipa” andando a parlare con i migranti e dissuadendoli dal parlare con noi o dal dirci le criticità di quel posto. Uno dei migranti ospiti non appena si allontana il mediatore ci dice “io ho qualcosa da dirvi”, e dopo alcuni minuti si riavvicina a noi e ci dice che da diversi giorni lui sta molto male e chiede delle medicine che non gli vengono date e che non gli è permesso nemmeno di comprarle da solo. “Ogni giorno mi dicono domani te le portiamo, non preoccuparti ma io sto ancora aspettando”.
Alcuni migranti poco dopo si avvicinano a noi e ci dicono che stanno lì da quasi un anno e che è un posto terribile. Al momento stanno scaricando terra, attività che svolgono volontariamente. Dal momento che il mediatore ci dice che “li aiutano a trovare collocazioni lavorative”, chiediamo se in tanto tempo abbiano mai avuto contatti in questi termini. “No. Quando mai??”. A lavorare volontariamente per tagliare l’erba anche altri 4 ragazzi.

Alcune scavatrici tutt’intorno sono in piena attività per risistemare ed ampliare il sistema fognario. Quindi è un campo permanente? Che sostenibilità ha questo posto? Com’è possibile che l’ASL abbia dato agibilità per 540 persone? Agibilità forse valida per centri temporanei dove la permanenza prevista è di pochi giorni, non per persone che vi dimorano stabilmente per mesi e, come abbiamo avuto modo di verificare da alcune testimonianze raccolte, anche per quasi un anno (ci sono persone presenti qui dallo scorso luglio o agosto). Questa è di fatto al momento una struttura permanente che non garantisce alcun processo di inclusione sociale e nemmeno la normale dignità di accoglienza cui hanno diritto i richiedenti asilo.

Entriamo nelle tendostrutture e vediamo decine e decine di letto a castello dove ognuno cerca di ritagliarsi una propria minima intimità, utilizzando coperte per sottrarsi allo sguardo degli altri ed accatastando bagagli ed oggetti temporanei sotto o sopra il letto. Restiamo piuttosto sgomenti. Il sovraffollamento è evidente. Gli stessi letti a castello sono a gruppi di 4 (due letti sopra e due sotto tra di loro attaccati) e quindi la promiscuità e la mancanza di un minimo di privacy sono assolute. Le due tendostrutture ospitano circa la metà delle persone (160 in una e più di 100 nell’altra). “Quando arrivano nuove persone chiediamo a chi è presente se sono d’accordo che arrivino altre persone, di fare posto. Purtroppo i Comuni non li vogliono” – così ci racconta uno dei mediatori che era prima responsabile alla Prandina. Proviamo a chiedere ad alcuni migranti come si trovano qui; “tutto bene, nessun problema”, ma probabilmente ci dicono così perchè ci vedono insieme ai responsabili di Ecofficina ma si vede che c’è un’aria di diffidenza e tensione. E la nostra delegazione è circondata dai responsabili e dagli operatori che non ci perdono di vista un momento. Avremmo voluto parlare con calma ed in privato con i migranti, ma la visita dura un’ora, così come scritto nell’autorizzazione. Una visita lampo e disumana che non ci permette, se non con pochissime persone, di raccogliere testimonianze sufficienti e soprattutto reali.

Diversi i mediatori presenti, anche se, pare manchino del tutto i mediatori in lingua per i cittadini eritrei; non abbiamo avuto modo di verificare per le altre tipologie di migranti presenti. Abbiamo chiesto nel dettaglio di poter ricevere dati a riguardo ed anche una lista con la specifica dei tempi di permanenza e la percentuale dei trasferimenti di richiedenti asilo verso centri SPRAR o altri centri così come informazioni precise sulla presenza di percorsi di formazione lavoro o di accompagnamento ad attività lavorative, come ci ha detto il mediatore di cui sopra. L’assistente sociale e il responsabile ci hanno promesso che, su nostra richiesta via mail, manderanno quanto richiesto. In generale abbiamo notato come vi fosse una certa reticenza a fornire e inviare dati precisi su accordi, numeri, ispezioni, nominativi e per questo faremo richiesta di alcuni documenti ufficiali per verificare quanto affermato dai responsabili della struttura.
Sarebbe interessante anche definire la questione dell’assistenza legale, non solo prima dell’intervista in commissione, ma in particolare dopo. Due infatti sono le versioni che abbiamo ricevuto parlando con gli operatori: “qui i ricorsi non possiamo farli” e “abbiamo avvocati esterni per i ricorsi”. O l’una o l’altra. I ricorsi si fanno o no? In che maniera i richiedenti asilo vengono realmente seguiti per quella parte fondamentale dell’accoglienza che riguarda la preparazione alla commissione e l’eventuale ricorso avverso la decisione negativa della stessa? In un momento in cui le percentuali in Italia di diniegati sono in aumento impressionante, è fondamentale che la questione legale venga seguita con particolare attenzione e professionalità. Se, come comunicatoci da alcuni operatori, gli avvocati che seguono i ricorsi sono tre, come si pretende di poter garantire un vero e proprio diritto alla difesa? Tre avvocati per 620 persone?
Pare che questi avvocati svolgano percorsi di formazione presso la struttura e che la preparazione delle memorie da portare in commissione venga effettuata da mediatori ed operatori formati adeguatamente. All’interno della stessa struttura viene preparato il C3, il fondamento per l’intervista in commissione. Ci auspichiamo che davvero ci sia l’attenzione necessaria per questo passaggio vitale per chi arriva in Italia in cerca di asilo politico. E in ogni caso anche qui non ci sono stati forniti documenti ufficiali con i nominativi degli avvocati che seguono i richiedenti asilo.

Il dato più inquietante resta comunque il luogo alieno dove risulta impossibile qualsiasi processo di inclusione. Qui non c’è nessuno, nemmeno per prendere un caffè. L’unica alternativa alla desolazione dell’ex caserma è una gita a Padova con un pullman messo a disposizione da Ecofficina. Non ci è dato sapere se questa possibilità è prevista per tutti e con quale turnazione, sta di fatto che nel giorno della nostra visita dei cartelli affissi nella tendostruttura centrale informano le persone che il servizio di trasporto è sospeso per alcuni giorni.
Verso la fine della visita uno dei ragazzi con cui avevamo parlato in merito alla questione della minore età corre da noi per chiedere supporto. Non parla bene le lingue e chiede ad un amico, anche lui in difficoltà, di spiegare la sua situazione. Mentre cerchiamo di capire, si avvicina con fare piuttosto arrogante ed inopportuno il cosiddetto “Presidente del campo” (un richiedente asilo autoletto o nominato dagli operatori di Ecofficina?) che ripete continuamente “queste cose le devi dire a me. Non a loro. A me, non a loro”.
Il ragazzo chiede solo che venga riconosciuta la sua minore età e vuole sapere quando verrà trasferito. Quando segnaliamo al prefetto questa esigenza va in escandescenza sottolineando che “gli operatori sanno fare il loro mestiere” e dicendoci “voi che ne sapete?”, “li riconoscete ad occhio i minori?”.
E’ incredibile questa forma di risposta di fronte ad un‘esigenza così fortemente espressa da uno dei migranti lì accolti.
Ci auguriamo davvero che vengano prese in considerazione le vulnerabilità delle persone all’interno del centro. 620 persone. Un numero gigantesco. Un numero in cui le singole persone e le vulnerabilità scompaiono con estrema facilità. Oltretutto a proposito di soggetti vulnerabili ci è stata fornita un’informazione palesemente falsa: “qui le donne e i minori non rimangono o al massimo restano per 24 o 48 ore”, mentre, dalle informazioni da noi raccolte nel coro delle ultime settimane, ci risulta che nei mesi scorsi siano rimaste nel centro di Cona sia donne che minori (poi trasferiti in altri luoghi) per settimane o addirittura per mesi.

La responsabile della Prefettura continua a ripetere che è tutto in ordine e con insistenza ci invita ad uscire. Quasi in preda ad un isterismo mal celato. Si inalbera quando uno di noi si attarda per parlare con alcuni dei migranti raccogliendo (finalmente) qualche informazione non “filtrata” da responsabili e mediatori. I migranti ci dicono che vivono in condizioni di estremo sovraffollamento, “come animali” (frase che abbiamo sentito da più di uno di loro), che lì ci sono zanzare e anche serpenti e che molti di loro sono qui dalla scorsa estate. La responsabile della Prefettura dopo la sfuriata nei confronti del “ritardatario” ci dice che loro fanno così “per la nostra sicurezza”, scusa ormai tanto banale quanto pericolosa che giustifica tutto e alimenta le dinamiche di “animalizzazione” degli stessi migranti (i quali non ci sono sembrati affatto un pericolo per la nostra “sicurezza” durante la visita).
La visita guidata è finita. Aspettiamo i migranti all’esterno per un po’, ma nessuno esce. Avremmo voluto ascoltarli, raccogliere le loro testimonianze, invece la frase più ricorrente della nostra visita è quella “ufficiale” e cioè: “ va tutto bene”.

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Campagna LasciateCIEntrare

La campagna LasciateCIEntrare è nata nel 2011 per contrastare una circolare del Ministero dell’Interno che vietava l’accesso agli organi di stampa nei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) e nei C.A.R.A. (Centri di accoglienza per richiedenti asilo): appellandosi al diritto/dovere di esercitare l’art. 21 della Costituzione, ovvero la libertà di stampa, LasciateCIEntrare ha ottenuto l’abrogazione della circolare e oggi si batte contro la detenzione amministrativa dei migranti continua »