Cristina.M
di Cristina Montini
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Il labirinto

Forma di svolgimento: SAGGIO BREVE
Destinazione: RASSEGNA DI PSICOLOGIA
Titolo: La complessità nelle forme espressive: il Labirinto

L’arte (in tutte le sue forme) si è sempre distinta per analizzare, con interpretazioni soggettive e personali, i più svariati concetti: dal rapporto bene e male, che permea buona parte di opere letterarie e pittoriche di ogni tipo, al cibo e alle sue varie forme, passando per l’amore, l’odio, la bellezza, l’angoscia e, addirittura, la stupidità umana.

Accanto ai temi più prettamente morali o fisici, ci sono, spesso, concetti astratti che, vuoi per il loro carattere effimero, vuoi perché sono suscettibili di differenti interpretazioni correlate allo stato d’animo dell’artista che vi si avvicina, hanno generato vere e proprie “argomentazioni” a se stanti, quasi un “capitolo” ben definito nell’immenso libro delle idee artistiche fatto di infinite pagine.

Se ci avviciniamo al tema della “complessità”, di ciò che è difficile e ostico, sia esso il tentativo di rispondere a domande filosofiche del tipo “Chi siamo?”, “Dove andiamo?”, “Cos’è l’amore?”, sia che si faccia riferimento a problematiche più concrete come quelle di “scoprire” o “inventare” o, più banalmente, risolvere un esercizio matematico, uno dei simboli che, per la sua stessa natura, è da sempre effige definitiva di concetti quali “difficile, strano, insuperabile” è quello di labirinto. Che esso sia disegnato, costruito o semplicemente descritto, il “dedalo” è da sempre l’emblema, sin dall’antichità, di un problema di difficile (se non impossibile) soluzione, di un’impresa dalla quale non si può uscire vincitori, di una lotta in cui la sconfitta è quasi inevitabile.

Il labirinto come “luogo architettonico”: la metafora di un problema dal quale non vi è uscita.
Quando si parla di labirinto, come primo esempio non si può fare a meno di citare quello di Creta e la leggenda del Minotauro, la creatura metà uomo, metà toro, imprigionata al suo interno e alla quale venivano sacrificate giovani vittime. Il mito in questione evidenzia, con particolare forza, il fatto che “labirinto” non solo implichi un’impresa dalla quale è difficile uscire ma che, spesso, può addirittura comportare un sacrificio che va ben oltre le nostre aspettative: il Minotauro che fa la guardia in un luogo già di per sé “pericoloso” è simbolo di sfiducia, paura, commiserazione. Eppure, nonostante la sua imponenza, anche un tale essere può essere sconfitto: nella Minotauromachia di Picasso, infatti, l’uccisione dello stesso, rappresentato in un’opera pittorica che conclude un lungo ciclo dedicato alle creature leggendarie, in cui esse sono quasi sempre idealizzate come potenti e invincibile, fornisce l’idea che, per quanto sia disperata un’impresa, l’unione di più soggetti, come quelli che “decapitano” e bruciano vivo il mostro, risulta il modo di affrontare le avversità e uscire vincitori da qualsiasi “gara” la vita ci proponga.

D’altra parte, la pura essenza del concetto architettonico di labirinto, rappresenta anche la metafora del complesso, inspiegabile, irraggiungibile: nel dipinto Pasiphae, di Jackson Pollock, l’ingarbugliamento e il mescolamento di forme e colori, tipico della forma d’arte di questo artista, vuole comunicare, più che un significato morale, proprio un concetto “fisico”, quasi sensoriale, del fatto che il mondo in cui viviamo, fatto di luci e forme costantemente in contrasto, ci guidano in un cammino che spesso si fa intricato e difficilmente “sbrogliabile”, come una matassa in cui i singoli fili si siano intrecciati nella maniera più indistricabile. Allo stesso modo, sempre rimanendo sul piano dell’interpretazione del mondo che ci circonda, La Relatività di Escher, che si basa su alcune tematiche, care all’illustratore, di come le teorie fisiche possano avere interpretazioni geometriche (ed in quest’ottica, proprio la Relatività di Einstein è la teoria che meglio spiega la correlazione tra le due branche scientifiche), mostra come il labirinto, esteso in un mondo a quattro (o forse più) dimensioni, dove è impossibile discernere tra concetti di alto e basso, destra e sinistra, avanti e dietro, rappresenti l’interpretazione della complessità del mondo in cui viviamo, all’interno del quale le percezioni sensoriali possano portarci la realtà in modo differente da come essa effettivamente è, semplificando una visione che, altrimenti, potrebbe trovarci incapaci di interpretarla e, in alcuni casi, portarci alla follia.

Il labirinto come “concetto mentale”: la follia.
Proprio il tema della pazzia è strettamente legato, soprattutto in letteratura, al concetto di dedalo, attraverso il concetto di “labirinto della mente”, in cui la metafora è intesa per definire la fitta trama (sia in senso biologico che filosofico) dei pensieri e del modo in cui essi si muovono dentro di noi. Tra i vari “folli illustri” della letteratura Italiana, non si può fare a meno di citare “Orlando furioso” di Ludovico Ariosto: il Cavaliere, emblema di perfezione, che per una donna perde il senno e che affronta situazioni quasi al limite dell’inverosimile, in un racconto che è a metà opera sulla metafora della vita e di come essa sia sempre soggetta alla possibilità di corrompersi a causa delle difficoltà intrinseche incontrate nel proprio percorso, e a metà libro fantastico in cui il tema di follia e intrico sono abilmente mescolati, tanto da fornire passi in cui il labirinto della mente del protagonista ormai pazzo viene reso “reale” attraverso l’immagine dello stesso che gira, forsennatamente, in una loggia fatte di stanze che si avvolgono su loro stesse, senza soluzione di continuità, come pensieri privi di logica nel cervello malato di un individuo non sano di mente.

Ne “L’immortale” di Borges, analogamente a quanto detto prima, viene espresso un concetto di follia (che qui è più inteso come “mal di vivere che come pazzia pura) legato principalmente ad una visione distorta e atipica di forme e architetture note: la Città degli Immortali, costruita sulla base di una ingegneria edilizia aliena e difficoltosa da comprendere, senza segni distinguibili o forme di riferimento, genera paura, senso di inutilità, addirittura incubi nel protagonista, evidenziando come la privazione della normalità, di ciò che è certo e sicuro, lasci l’essere umano in balia del tormento, anche in un luogo, come quello di una città, che dovrebbe esserci familiare e usuale.

Il labirinto come sfida della vita.
La rappresentazione del labirinto vista all’interno di un luogo familiare, come quello che può essere la propria casa o la propria città, è poi un tema ricorrente come metafora di una società in cui è difficile inserirsi, all’interno della quale ogni giornata è una sfida, più che con se stessi, come detto prima, contro gli altri, in un rapporto fatto di complementarietà e opposizione tipico di una società frenetica. Usando la sua tipica ironia, che quasi sfocia in un sarcasmo caustico, Calvino, in un passo de “Le città invisibili” porta questa “perdita di capacità cognitiva” ad un estremo: per lui il labirinto è uno spazio vuoto, assolutamente privo di ogni forma, all’interno del quale, tuttavia, il protagonista sa di dovere trovare qualcosa che, però, non riesce a scorgere, a toccare, a percepire. La città di Pentesilea che non può essere vista, le cui strade non possono essere percorse, che non può essere disegnata su una mappa e resa topograficamente, è il simbolo di un mondo che, nonostante sia da noi vissuto in ogni forma, risulta tuttavia ignoto, anche nei suoi aspetti più semplici ed essenziali. Una condizione in cui sorgono spontanee domande su cosa sia lecito, su quali siano le strade da percorrere, al fine di vivere una vita che non risulti un “limbo” in cui rimanere impantanati per tutta la propria esistenza.

E proprio per rispondere ad una tale domanda, viene in soccorso la ragione che dovrebbe, in ogni caso, anche in presenza delle più ardue difficoltà, portarci alla soluzione del mistero, a permetterci di trovare l’unica e sola via d’uscita da dedalo in cui siamo invischiati: Umberto Eco, nelle fasi finali del “Nome della Rosa”, mostra i protagonisti, che fino ad allora si sono mossi come due abili detective, invischiati in un problema di difficile soluzione, quello di orientarsi nel labirinto di torri e corridoi della parte alta della Biblioteca del monastero, al fine di scoprire il colpevole delle morti avvenute nell’abbazia nei giorni del loro soggiorno. Una metafora che ci porta al punto da cui siamo partiti, il concetto di labirinto come luogo che simboleggia la difficoltà della vita, e a cui siamo tornati girovagando in un intrico di cunicoli, svolte impreviste, vicoli ciechi come sempre è l’esistenza umana. Per ricordare che il labirinto, in fondo, è qualcosa che fa parte di noi e che la sua soluzione deve spingerci, in ogni momento, a migliorarci e renderci più forti, andando contro le avversità e sconfiggendo le nostre paure.

Le risorse di Skuola.net per svolgere la prima prova:

- Picasso, Pablo - Cubismo
- Orlando furioso - Temi e analisi storica