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Questo articolo è stato pubblicato il 20 agosto 2014 alle ore 07:46.
L'ultima modifica è del 20 agosto 2014 alle ore 07:58.

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Non passa giorno senza che un politico, un economista o un giornalista rivolga un appello alla Banca centrale europea perché faccia qualcosa per combattere la deflazione nell'area euro. Nonostante i richiami, la Bce ha offerto solo dichiarazioni di disponibilità ad agire. Alle parole, però, non sono seguiti i fatti, e la situazione si fa ogni giorno più insostenibile. Il motivo di cotanto ritardo è duplice. Da un lato la Bce non riconosce ancora di aver fallito nella sua missione di garantire la stabilità dei prezzi.

Questo dovrebbe essere evidente: l'inflazione media europea negli ultimi 12 mesi è stata lo 0,38% e a luglio 10 dei 18 paesi dell'euro hanno fatto registrare una riduzione dei prezzi al consumo. Il Governing Council della Bce, però, ha definito la stabilità dei prezzi come «un aumento annuale dell'indice armonizzato dei prezzi dell'area euro inferiore al 2%». Come ho spiegato l'altro ieri nel mio blog, l'obiettivo di un'inflazione «al di sotto ma vicino al 2%» è solo una guida pratica della Bce per conseguire l'obiettivo della stabilità, non un obiettivo a sé stante su cui valutare il successo delle politiche. Se la Bce non agisce, è perché non si è convinta che ha l'obbligo di agire.

Il secondo motivo di questa inattività è la mancanza di strumenti. Tutti reclamano un quantitative easing, visto che in America ha funzionato. Eppure anche i migliori economisti sono in disaccordo sul motivo per cui ha funzionato negli Usa e non sono convinti che funzionerebbe in Europa. Il quantitative easing non consiste nello stampare moneta, ma nell'acquisto di titoli da parte della Banca centrale in cambio di depositi presso la Banca centrale stessa (anche chiamati riserve). Si tratta di uno scambio tra titoli e riserve. Perché mai dovrebbe stimolare la domanda aggregata e l'inflazione? Un canale è attraverso l'effetto indiretto del quantitative easing sul deficit pubblico. Riducendo il costo del debito pubblico, il quantitative easing rende meno impellente il taglio della spesa pubblica. Un altro canale è attraverso le aspettative sui tassi futuri. Di fatto il quantitative easing è una garanzia che l'aumento dei tassi avverrà tra molto tempo. Questo favorisce la speculazione finanziaria, ma - si spera - anche gli investimenti reali. Il terzo canale è attraverso la svalutazione del cambio: riducendo i tassi sui titoli, il quantitative easing favorisce la svalutazione della moneta.

Questi tre canali non funzionerebbero in Europa. L'abbassamento dei tassi nominali è già avvenuto. Difficilmente il quantitative easing potrebbe comprimerli ulteriormente. Come se non bastasse, il Fiscal Compact ha imposto piani di riduzione del deficit così aggressivi che qualsiasi effetto del quantitative easing sarebbe limitato o addirittura controproducente (perché ritarderebbe il momento in cui questi piani sono riconosciuti come insostenibili). Anche l'effetto del quantitative easing sulle aspettative future sarebbe limitato. Le aspettative sui tassi nominali futuri sono già molto basse e un po' di quantitative easing non eliminerebbe lo spauracchio di una Bundesbank in agguato per alzare i tassi. Per finire, il quantitative easing non potrebbe avere un grosso effetto sul tasso di cambio dell'euro: i tassi nominali sui titoli in euro sono già molto bassi e difficilmente il quantitative easing produrrebbe una fuga dall'euro. Siamo dunque condannati a morire di deflazione?

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