Politica

Il Pd in rivolta contro Alfano
Letta lo assolve, Renzi all'attacco

Finocchiaro, Bindi, Casson e i renziani spingono per le dimissioni del ministro dell’Interno dopo lo scandalo dell’arresto della Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Ablyazov, e della loro bimba. Ma il partito garantisce che in Aula non voterà la sfiducia contro Alfano. L’affondo di Renzi: «Non possono pagare solo gli uomini della polizia»

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Salvare il governo, ma restituire alle istituzioni italiane la loro credibilità. Dopo una giornata lunghissima - in cui s’incrociano colloqui da Londra (dove Letta era in missione), a Firenze (dove Renzi dà voce al malessere del Pd) e Roma, il cerino resta nelle mani di Epifani. È infatti la segreteria dei Democratici, conclusa a tarda sera, a indicare la rotta: no alla sfiducia al ministro Alfano, però pressing affinché faccia un passo indietro e riconosca che c’è una responsabilità oggettiva nel caso Shalabayeva. Al segretario democratico è affidato il compito di convincere oggi il premier Letta affinché ci sia un avvicendamento al Viminale, valutando un rimpasto di governo.

Il Pd è in rivolta. La vicenda kazaka ha innescato una resa dei conti politica nel partito. E appare subito chiaro che la sfida è tra Renzi e Letta. Va all’attacco il sindaco fiorentino con una newsletter tutta dedicata ad Alfano, ma in cui difende se stesso dalle accuse che gli vengono mosse di puntare a Palazzo Chigi. Niente vero, assicura: «Non voglio fare cadere Letta, del resto se l’esecutivo entrasse in crisi, non si andrebbe al voto. Comunque, io non sarei candidabile, non andrò mai a Palazzo Chigi con manovre di Palazzo». E denuncia: «Se molti dirigenti del Pd non vogliono che mi candidi, va bene. Se vogliono tenersi il partito, va bene. Se preferiscono perdere le elezioni pur di mantenere una poltrona, va bene. Ma mi vergogno per il Pd, se usano una bambina di 6 anni per regolare i conti tra le correnti del partito».

Non risparmia bordate il sindaco “rottamatore”, benché abbia sentito Epifani e soprattutto Letta. Il premier da Londra cerca di minimizzare i dissensi nel “suo” partito, che è l’azionista di maggioranza dell’esecutivo. Però difende Alfano: «Ho letto attentamente la relazione di Pansa, da cui emerge l’estraneità di Alfano». È una doccia gelata per il Pd. Non sono solo i renziani a scalpitare e a chiedere le dimissioni di Alfano (con un documento di 11 senatori), che giudicano non convincente. C’è una nota di Anna Finocchiaro, la presidente della commissione affari costituzionali del Senato, che invita il ministro dell’Interno a rimettere le deleghe. Rosy Bindi incalza: «Alfano se ha a cuore il governo deve dimettersi da ministro dell’Interno, restando vice premier». In Transatlantico c’è chi ironizza: «È la follinizzazione di Alfano», ricordando che Marco Follini fu vice premier senza deleghe di un governo Berlusconi e questo non gli portò bene.

Renzi chiede indirettamente le dimissioni, ricordando che «già qualche settimana fa Letta ha chiesto a un ministro di farsi da parte». Josefa Idem, responsabile delle Pari Opportunità, ha dovuto dimettersi per un presunto illecito fiscale per la palestra dove si allenava. «Posso solo sperare che alla fine di questa vicenda non paghino solo le forze dell’ordine. Io sto con le forze dell’ordine, perché scaricare sui servitori dello Stato tutte le responsabilità è indegno per la politica»: insiste Renzi.

È al Senato che domani si voterà la mozione di sfiducia ad Alfano presentata da Sel e M5S. Qui parlerà Letta. Il Pd non può arrivare a quell’appuntamento spaccato. Ci sono 24 ore di tempo per sminare la mina sulla quale , se non salta il governo, salta il partito: ragiona Luigi Zanda, il capogruppo a Palazzo Madama. «Ci vogliono le dimissioni di Alfano per salvare il governo», rincara Francesco Verducci, portavoce dei “giovani turchi”. Oggi l’assemblea dei senatori democratici. Renzi invita il premier a un discorso alle Camere e alla controffensiva politica.
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