Genova

IL RICORDO

Genova come nell'ottobre 1970
Il disastro, poi il riscatto dei giovani

Per Genova è sempre stata "l'alluvione". Tra il 7 e l'8 ottobre di 41 anni fa, caddero 900 millimetri di pioggia. Esondarono il Bisagno, il Polcevera e il Leira. Le vittime furono 44. La città era in ginocchio, poi uscirono gli "angeli con la maglietta sporca". E nasce una pagina Facebook

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Iniziò la sera del 7 ottobre 1970 e, in poco più di 24 ore, caddero quasi 900 millimetri d'acqua. Genova, 41 anni dopo, sembra la stessa di quella della "alluvione", l'unica che i genovesi ricordano senza la necessità di metterci vicino l'anno. L'alluvione è sempre stata quella del 1970 anche se, in seguito, molte (troppe) altre volte la città finì sott'acqua: nel 1977 e, poi, nel '90, nel 92, nel '99 e l'anno scorso con il disastro di Sestri. 

Oltre al Bisagno, esondò anche il Polcevera, ma i danni peggiori li fece il Leira che esplose letteralmente tra i palazzi di Voltri costruiti troppo vicino al corso d'acqua di solito quasi asciutto. Anche quella volta, il centro cittadino si allagò da corso Sardegna fino alla Foce. Il Bisagno, ostruito da ogni sorta di detriti, uscì dai tombini e dal ponte di Terralba trascinando in mare centinaia di automobili. Le immagini in bianconero di 41 anni fa sono purtroppo molto simili a quelle di oggi: raffigurano gli autobus con l'acqua alle porte e la gente che si metteva in salvo sui tetti delle auto davanti alla stazione Brignole. I quartieri limitrofi, come Borgo Incrociati, finirono sotto oltre un metro d'acqua.


VIDEO/ LE IMMAGINI DEL 1970

Le vittime accertate furono 35, ci furono anche una decina di dispersi e duemila persone furono costrette a lasciare le loro abitazioni.  Il dato ufficiale, oggi, parla di 44 perdite umane (in quei giorni si sparse anche la voce, mai verificata, che i morti fossero molti di più, ma che il dato fosse stato volutamente nascosto). Peggio della più famosa alluvione di Firenze del 4 novembre 1966 (36 vittime). Oltre alla città furono duramente colpiti almeno venti comuni dell'entroterra: da Masone a Sant'Olcese. Da allora, il corso dei torrenti è stato più volte ripulito (nel Bisagno, in particolare, c'era di tutto) ma, evidentemente, davanti a questo tipo di precipitazioni, ci vorrebbero interventi più accurati e più frequenti.

La mattina del 9 c'era il sole e, vista dalla collina d'Albaro, la zona della Foce, avvolta da una luce surreale, era un pezzo di Venezia. Le strade sembravano torrenti argentati nei quali si aggiravano in silenzio figure spettrali calzando alti stivali: si guardavano intorno, si mettevano le mani nei capelli e piangevano.

Genova non era Firenze e non suscitò l'ondata meravigliosa di affetto e di amore per la cultura che portò migliaia di giovani da tutto il mondo a spalare per salvare e riportare alla luce i tesori dell'arte fiorentina, patrimonio di tutta l'umanità. Genova dovette fare quasi da sola e lo fece con grande passione e dignità. Le scuole furono chiuse e i giovani, da tutte le zone della città si armarono di pale e stivali e si presentarono nei luoghi più colpiti a chiedere se c'era bisogno di una mano. All'inizio, si trattò di interventi spontanei e sporadici: si aiutava il negozio conosciuto, si spalava sotto casa o nella strada dove abitavano parenti o amici. Ma, a poco a poco, i soccorsi si organizzarono. Il punto di raccolta era la palestra del Liceo D'Oria, di fianco alla Questura, ai piedi della scalinata con le grandi caravelle floreali. I ragazzi arrivarono a gruppi o singolarmente, venivano organizzati in squadre e inviati nei punti dove c'era più bisogno. Le scuole, ovviamente, chiusero per almeno due settimane e un'intera generazione si trovò a vivere una straordinaria avventura di solidarietà e di libertà. Il simbolo di quei giorni era l'impronta di una manata sporca di fango che i ragazzi si davano vicendevolmente sulle magliette. Bastava quella per salire su un autobus (allora c'erano i bigliettai) senza pagare e la gente ti guardava con rispetto e ammirazione. Si viveva fuori casa, si spalava per ore e ore sotto il sole e dai negozi di ogni strada (gente che aveva perso tutto o quasi) arrivava sempre la focaccia calda da mangiare e un fiasco di vino. Le regole abbastanza rigide di allora saltarono completamente (quasi più che durante il '68) e, per la prima volta, la generazione dei "capelloni" che la serissima Genova aveva sempre considerato con una punta di severità, si guadagnò sul campo la stima di tutti. Per le strade fiorirono i cartelli "Grazie giovani" e i giornali lanciarono una specie di concorso di idee per "ringraziare" gli "angeli col fango sulle magliette".

Non se ne fece nulla o quasi, i ragazzi tornarono a scuola. Qualche pezzo di libertà rimase nei comportamenti di tutti i giorni, molto di più nel cuore e nei ricordi di quelli che lavorarono giorni e giorni per salvare la loro città.

E, questa sera, collegandosi a quanto accadde 41 anni fa, alcuni giovani genovesi hanno aperto una pagina Facebook intitolata "Angeli col fango sulle magliette" e si propongono di rilanciare lo spirito di solidarietà del 1970. In poche ore hanno superato le 1300 condivisioni. Li seguiremo senz'altro.