Un appello per abolire il termine "razza" dalla Costituzione italiana

C’è ancora posto per le “razze umane” nella Costituzione italiana?

La diversità biologica che osserviamo all’interno e tra le popolazioni umane non rappresenta solo un’opportunità per studiare particolari processi dell’evoluzione, ma anche un elemento che riflette la nostra organizzazione sociale e i suoi mutamenti nel tempo. Non si tratta solo di una teoria scientifica visto che un riferimento esplicito alla diversità umana trova posto nei principi generali della carta costituzionale, all’articolo 3:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Un inno all’uguaglianza, un atto esplicito contro ogni discriminazione. Certo. Ma non vi sembra stonata quella parola“razza”? Il termine porta con sé un’idea in apparenza semplice: la diversità umana può essere descritta da pochi gruppi, per esempio Bianchi (Europei), Neri (Africani) e Gialli (Asiatici), molto diversi tra loro e, a un tempo, omogenei al loro interno. Questo schema, secondo alcuni, riguarderebbe non solo la distribuzione dei caratteri ereditari, ma addirittura le capacità cognitive e le qualità morali.

Gli antropologi italiani hanno iniziato a interrogarsi da tempo su questa presenza ingombrante. Tuttavia, la spinta decisiva per fare uscire il dibattito dagli angusti confini accademici è venuta solo di recente, con l’appello per l’abolizione del termine razza dalla Costituzione lanciato da Gianfranco Biondi e Olga Rickards. Nel frattempo qualcosa sembra stia incominciando a muoversi anche all’interno del mondo politico.

Possiamo cercare di mettere meglio a fuoco il problema. Ma per questo serve un radicale cambio di prospettiva. Avendo a che fare con una questione che ha così tante e diverse implicazioni, è meglio provare a tenere insieme gli aspetti scientifici con quelli culturali e sociali piuttosto che ragionare per “compartimenti stagni”. Un obiettivo che può essere raggiunto decostruendo il quesito di partenza – abolire o mantenere la parola razza nella Costituzione – in tre distinte domande.

Il concetto di razza descrive adeguatamente la distribuzione della diversità umana?

NO! Perché non solo veicola un’idea di strutturazione della diversità genetica umana che non ha base scientifica, ma introduce anche elementi infondati e fuorvianti per la visione comune della diversità culturale. Per due ordini di motivi. Grazie al rilevante e incessante progresso degli studi nel campo della genetica e della genomica, è stato chiarito che la diversità, davvero ridotta, che si osserva nella nostra specie non può essere descritta da poche unità discrete, esclusive e omogenee, le razze appunto. Le unità evolutive vanno invece identificate in molti insiemi di individui che condividono uno spazio, un tempo e un sistema sociale, le popolazioni. Non meno importante, numerosi studi sugli effetti della selezione naturale sulla variabilità genetica ci hanno mostrato che quei tratti fisici che sono alla base della percezione in termini razziali della diversità, come il colore della pelle, sono il risultato di adattamenti all’ambiente a livello di specifici geni. Le loro differenze non hanno, invece, nessuna relazione con capacità cognitive, comportamenti sociali o qualità morali. Questo dato assume una particolare importanza alla luce del fatto che il termine razza viene usato anche per stigmatizzare differenze culturali, come se queste fossero il prodotto di differenti “abilità” intellettive o predisposizioni morali. Data la crescente connotazione pluriculturale delle società europee, è evidente quanto sia importante contrastare questi pericolosi corto circuiti tra nuove forme di intolleranza e rigurgiti di determinismo genetico.

Quali sono i pro e i contro di un’iniziativa per modificare la Costituzione?

Tradurre un’istanza in un cambiamento “infrastrutturale” di un ordinamento costituzionale presenta importanti incognite. Primo, pensate a quali difficoltà comporterebbe un’eventuale modificazione della Costituzione. Secondo, l’iniziativa potrebbe essere percepita come un tentativo sterile, concentrato su una questione terminologica, ma che non tocca la sostanza del problema. Siamo ancora convinti di voler giocare la partita? Sì, ma a due condizioni. La prima è essere consapevoli dell’importanza dell’obiettivo. Oltre al suo valore simbolico, rimuovere ogni riferimento a una visione razziale della diversità umana è importante perché toglie forza a un termine che veicola pregiudizi sotto un travestimento pseudo-scientifico. La seconda è avere chiaro che lanciare iniziative di questo tipo è un atto impegnativo ma non decisivo: Il lavoro non finisce mettendo una firma in calce a un documento. Al contrario, inizia proprio da lì. Nelle nostre attività educative e formative dobbiamo cercare di mettere a disposizione di una platea sempre più ampia gli strumenti migliori per interpretare senza preconcetti la diversità umana. Sensibilizzare alla necessità del cambiamento del termine tutti coloro che, a vario titolo, sono coinvolti nella divulgazione, sia scientifica che culturale. Cogliere questa occasione per superare l’antica, ma sempre viva, dicotomia tra natura e cultura, tra antropologia “fisica” e culturale.

Il termine “razza” andrebbe abolito o sostituito?

A uno sguardo attento, il termine razza nel dettato costituzionale si presta a due letture di segno opposto. Da una parte, permette di stabilire il principio che la diversità tra gruppi umani non può essere motivo di discriminazione. Provate a rileggere l’articolo 3 senza il termine razza. Eliminandola, si potrebbe ottenere un risultato paradossale: far sembrare che la razza, scomparsa da quell’elenco, possa tornare a essere elemento di discriminazione. Dall’altra, la sua presenza riafferma la validità dello stesso concetto di razza: “Ma come fai a negare l’esistenza della razze se stanno scritte addirittura nella Costituzione?”. Per uscire da questo dilemma,è necessario introdurre termini alternativi che possano esprimere il concetto di diversità rispettandone le diverse declinazioni (biologica e culturale in primis) e che non sembrino evocare in alcun modo gerarchie valoriali. Per aumentarne l’efficacia, la modificazione deve essere accompagnata da una dichiarazione esplicita dell’insussistenza del concetto stesso di razza e del rifiuto dei comportamenti che ne possono derivare.

Su queste basi, la proposta può essere formulata in questi termini:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di aspetto fisico e tradizioni culturali, di genere, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. La Repubblica non riconosce l’esistenza di presunte razze umane e combatte ogni forma di razzismo e xenofobia”.

Consideriamo questo un primo, ma significativo, passo che può contribuire a rendere la diversità elemento di coesione civile e di crescita reciproca, nel pieno rispetto dei valori stabiliti dalla nostra Costituzione.

Giovanni Destro Bisol e Maria Enrica Danubio, Istituto Italiano di Antropologia

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272 commenti RSS

  • Se eliminiamo la parola razza, come si spiega il fatto di essere noi italiani di “razza caucasica”?.

  • Gianni Sinigaglia Latina impiegato 4 maggio 2016 alle 12:13

    Sottoscrivo

  • Sottoscrivo. grazie

    VALENTINA RIZZO

  • Gabriella Napoli 14 dicembre 2015 alle 12:42

    anche per me il termine razza non va mantenuto e mi sembra buona la formula proposta per cambiare la Costituzione

  • Segnalo una nuova iniziativa sul tema “razze umane” e Costituzione, il giorno 11 dicembre 2015 alla Sapienza

    https://sites.google.com/site/annualmeetingisita/2015

    Si parlerà anche delle reazioni alla proposta sul forum e il facebook de Le Scienze.

    gdb

  • Penso che la soluzione migliore sia quella di eliminare tutte le “categorie” richiamate e riferirsi unicamente all’uguaglianza di tutti i cittadini. Nascerebbe poi la questione su chi siano i cittadini ,ma questo è un altro problema sia pure di grande attualità politica.
    Ugo Caffaz,

  • Nessun commento farà mai cambiare idea a chi non ha il senso dell’umorismo!
    Chi sarà mai Darwin per il 98% degli italiani?
    Cambiamo pure la Costituzioneu e il patrimonio genetico dell’umanità sarà,come la Legge, uguale per tutti. È una eccellente pensata

  • Valerio, specializzando in Ingegneria aerospaziale 2 settembre 2015 alle 10:34

    Piu che sottoscrivere questa proposta – pur accettabile – ve ne faccio un’altra: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di patrimonio genetico, culturale, sociale, politico, economico.”

    Mi sembra più adatto il riferimento al patrimonio genetico perché forse, chissà, tra 10 o 100 anni ci troveremo ad affrontare problemi di discriminazione relativi alla genetica più in generale, e non solo alla razza. Tecniche come la CRISPR e la crescente convivenza con malformazioni genetiche dovrebbero bastare a convincerci che la diversità genetica non può tradursi in diversità di trattamento e di opportunità. In oltre cade il riferimento al sesso, che forse in futuro potrà avere una certa fraintendibilità tra sesso biologico, sesso genetico e sesso sociale. Tra parentesi mi sembra anche più semplice la scrittura e la comprensibilità, questione rilevante su un testo giuridico.

  • La citazione di Ashley Montagu trova una verifica negli eventi che portarono al genocidio in Ruanda. Le due ‘etnie’ coinvolte, ‘tutsi’ e ‘hutu’, non solo hanno la stessa religione e la stessa lingua, ma di fatto sono stati letteralmente la stessa popolazione fino agli anni del colonialismo Belga. I Belgi organizzarono un censimento, in cui venne chiesto a chi si registrava di dichiarare se possedeva più o meno di 10 vacche. Vennero chiamati ‘tutsi’ i possessori di più di 10 vacche e ‘hutu’ gli altri. Un po’ come se oggi in Italia venissero chiamati Alfa i proprietari di più di un veicolo e Beta tutti gli altri. Solo dopo ci si è inventati la fola di una differenza razziale. In Europa, un sindaco antisemita di Vienna all’inizio del XX secolo era solito dichiarare di essere lui stesso a dover dire chi era Ebreo e chi no. Più di recente, nel suo ‘Origini del totalitarismo’ Hannah Arendt ha dimostrato come caratteristica essenziale della persecuzione razziale sia l’arbitrarietà della definizione dei criteri di appartenenza alla cosiddetta ‘razza inferiore’. A parte il caso clamoroso ma reale di un Ebreo che fu sempre scambiato per un SS di pura razza ariana dalle stesse SS fino alla fine della seconda guerra mondiale fino al punto da rischiare la fucilazione da parte Sovietica nel 1945, documentato dal film ‘Europa Europa’ di Agnieszka Holland, basta leggere i vari numeri del periodico fascista ‘La Difesa Della Razza’ per capire come non sia mai esistita una distinzione univoca fra Ebreo e Ariano nemmeno dopo decenni di sforzi in questo senso. Tornando all’argomento dell’articolo de Le Scienze, forse il dettato costituzionale attuale ha il vantaggio di escludere esplicitamente una volta per sempre la validità di qualunque proposizione in campo giuridico che implichi un concetto così falso e fuorviante come quello di ‘razza’,

  • Nicola Virdis, Lucca, avvocato

  • Prof. Giorgio Fabretti 20 agosto 2015 alle 13:26

    Egregi. Lo scienziato darwiniano intristisce un po’ di fronte alla scienza delle tre carte di partenopea e parte sinistra memoria. Che si usino effetti speciali aritmetici da quinta elementare, enfatizzando ovvietà per cui c’è più distanza genetica media tra italiani “puri” che tra italiano medio ed etiope medio, per generare l’illusione che così le differenze tra il nero etiope e il bianco italiano siano scomparse, farebbe sorridere molti, … ma intristisce chi si preoccupa che tanti scienziati sprechino tempo e firme per illusionismi al massimo da rotocalco. Chi ama la scienza o la logica prova pena profonda nel vedere il dibattito scientifico sprofondare in diatribe che nessun festival dell’ Unità riesce più a mettere in piedi con qualche partecipazione.

    Per non perdermi ed annoiare oltre… Poiché il sacro principio dell’empiria impedisce di dire che i tratti genetici comuni a larghe popolazioni sono inesistenti, mentre le statistiche cliniche ne scoprono uno in più ogni giorno, mi limiterei a concludere che se nella testa di molti vi è la inappropriata abitudine di chiamare “razze” quell’insieme di tratti genetici che includano il colore della pelle… ebbene concluderei piuttosto esclamando: ” Chi dice ‘razza’ dice ‘bellezza’ ! ”

    E chiuderei difendendo ogni biodiversità da questa coda di “Triste Sinistra”, antropologicamente stile “Tristi Tropici” più che stile Darwin. Altrimenti qualche professore tirerà fuori il manifesto firmato da cento intellettuali orfani del secolo scorso, che dicevano che il genere femminile è uguale a quello maschile, salvo alcuni dettagli che la Regina Vittoria consigliava pudicamente di occultare.

    Se oggi il 70% dei magistrati è.donna e il presidente Usa è nero, forse dovremmo studiare le predisposizioni genetiche nelle popolazioni, e raccomandare agli Australiani di non prendere troppo sole, giacché tra di loro ci sono molte ma molte possibilità in più di prendersi un melanoma della pelle che tra gli Etiopi, con buona pace dei manifesti “antirazzisti” tesi a inventare una anacronistica “razza unica”. Il Movimento Gay, ad esempio, pensa oggi a leggi concrete, dopo aver vinto le mostruosità discriminatorie dell’altro secolo.

    Fare scienza è aggiornarsi a nuove più avanzate sfide. La propaganda che svia dalla mala amministrazione dei migranti non è scientifica e nemmeno segno di civismo. Strapperei questo logoro siparietto dell’antirazzismo di maniera, per studiare scientificamente come far funzionare una burocrazia sempre piena di pirla, ladri e mafiosi che, come diceva Buzzi, “ormai sui migranti e sul razzismo ce fa più soldi che con la droga ! “. Basta!

  • Egregi. Il dibattito non puo’ prescindere da quanto gia’ avvenuto e dibattuto da eminenti uomini di Scienza in un recente passato. Voglio ricordare che gia’ nel 2008 (10 Luglio) a San Rossore (PI) fu discusso e firmato (anche da me) il manifesto di Marcello Buiatti in occasione della manifestazione organizzata dalla Reg. Toscana contro ogni forma di Razzismo. http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/270000/265866.xml?key=Pietro+Greco&first=531&orderby=0&f=fir
    ecco cosa si legge nell’articolo riportato per l’occasione da Pietro Greco (l’Unita’ 8 Luglio 2008) intitolato: “LE RAZZE UMANE? UNA BUFALA PERICOLOSA”….” in estrema sintesi, il contenuto del «manifesto antirazzista» che un gruppo di scienziati italiani – tra i primi firmatari Rita levi Montalcini, Enrico Alleva, Guido Barbujani, Laura Dalla Ragione, Elena Gagliasso Luoni, Massimo Livi Bacci, Alberto Piazza, Agostino Pirella, Frencesco Remotti, Filippo Tempia, Flavia Zucco – presenterà il prossimo 10 luglio a San Rossore nell’ambito di una tradizionale manifestazione della Regione Toscana, dedicata quest’anno alla mobilitazione «contro ogni razzismo». Il «manifesto antirazzista» sarà illustrato dal biologo Marcello Buiatti e introdotto dal Presidente della Regione, Claudio Martini, a sessant’anni dalla pubblicazione , avvenuta il 14 luglio 1938, del «manifesto della razza» a opera di un gruppo di scienziati fascisti.”
    I quattro punti del manifesto (anche da me firmato) riportano: “1. Ogni uomo è geneticamente diverso da ogni altro. È un organismo biologico unico e irripetibile. 2. Se si considerano i singoli geni, essi sono sempre presenti in quasi tutte le popolazioni umane, anche se con frequenza diversa. In pratica, la frequenza dei singoli geni di tutte le popolazioni umane è largamente sovrapponibile. E, in particolare, nessun gene specifico può essere utilizzato per distinguere una popolazione umana dall’altra. Le popolazioni umane sono geneticamente molto simili le une alle altre. 3. C’è invece una grande variabilità genetica tra gli individui, tra gli uomini. Nessuno di noi porta i medesimi geni di un altro uomo. Tuttavia la gran parte di questa variabilità è anteriore alla formazione delle diverse popolazioni ed è probabilmente persino anteriore alla formazione della specie sapiens. In ogni caso, diversi studi indipendenti hanno dimostrato che almeno l’85% della diversità genetica (ovvero dell’insieme dei geni umani) è presente in ogni popolazione del mondo, il 5% della variabilità genetica è presente tra tutte le popolazioni del medesimo continente, e il residuo 10% si verifica tra popolazioni di diversi continenti. 4. La variabilità genetica all’interno delle singole popolazioni, per esempio tra gli europei o gli italiani, è elevatissima. Mentre le differenze genetiche tra i tipi mediani delle diverse popolazioni, tra gli italiani e gli etiopi, per esempio, sono modeste e pressocché irrilevanti rispetto alla variabilità interna alle singole popolazioni. In pratica due italiani possono essere geneticamente molto diversi tra loro. Molto più di quanto non siano diversi un italiano medio e un etiope medio. 5. La contaminazione genetica tra le diverse popolazioni umane è costante ed elevatissima. Lo confermano persino gli ultimi studi sul sequenziamento dell’intero genoma umano”. Cordialmente Paolo Pasquinelli, biologo.

  • Prof. Ettore Ruberti 19 agosto 2015 alle 10:04

    Desidero rispondere all’interessante intervento del Prof. Giorgio Fabretti. Sono un Neodarwiniano anch’io, sebbene Zoologo e non Antropologo. Concordo sul fatto che il politicamente corretto sia diventato ridicolo e che serve a pseudointellettuali per darsi au’aura di “progressista” e che, per non apparire “razzisti”, si accetti qualsiasi depravazione o illegalità che, oltretutto con il razzismo centrano nulla.
    Chiarito questo, va sottolineato che le diversità genetiche fra le popolazioni sono assolutamente disgiunte dalle diversità culturali. A riprova di ciò basta la costatazione del comportamento di persone provenienti da gruppi etnici diversi in altri contesti. Mentre l’insieme del genoma di un individuo rende alcune diversità, come il colore della pelle, la larghezza delle narici, la corporatura, ecc. infinitesime. Maggiore importanza deriva dall’epigenetica, questa si foriera di diversità anche significative (questo, come lei certamente sa, non centra nulla con Lamark). Concordo sul fatto che in occidente e in Italia in particolare, viene attuata una forma di razzismo all’incontrario, per cui qualsiasi nefandezza è tollerata e giustificata quando a compierla sono appartenenri ad altre etnie. Come trovo assurdo ritenere che la clandestinità e la violazione delle Leggi da parte di chi non fa parte del Paese debbano rimanere impunite. E’ assurdo che Prefetti, Magistrati ed altri rappresentanti della Pubblica Amministrazione, piuttosto che applicare le leggi, polemizzino sull’accoglienza senza si e senza ma, dimostrando tra l’altro di non conoscere la differenza fra lo status di clandestino e quello di rifugiato. Concludo sottolineando che i cittadini hanno il diritto di predendere il rispetto delle Leggi e delle regole di convivenza da parte di tutti e non accettino passivamente la protervia e la prepotenza da parte di chi, italiano o meno, ritiene di calpestarle impunemente. Purtroppo in Italia si è sempre avuta verso lo straniero una sorta di sudditanza, tale da far scrivere a Dante (nel 1300): l’Italia non è donna di conquista ma bordello!!!

  • Prof. Giorgio Fabretti 18 agosto 2015 alle 19:12

    Commento del Prof. Giorgio Fabretti, antropologo di impostazione neodarwiniana

    Sul concetto di “razza” nella Costituzione Italiana.

    Ripetere che le differenze genetiche di aspetto tra i tipi umani siano molto piccole e non influiscano sulle potenzialità cognitive, è sempre utile a fini educativi.
    Purtuttavia non dovrebbe eccedere fino al punto di negare che esistano gialli, neri e bianchi, perché così si perde di credibilità.

    Altresì non si dovrebbe nascondere che non sono state trovate prove scientifiche che escludano che ai diversi tipi fisici, geografici, gruppali o individuali, non possano essere associate attitudini culturali, seppure lievi o modificabili dall’educazione.
    Inoltre, chi è assillato da ogni supposta enfasi sui patrimoni genetici, non dovrebbe dimenticare che ogni mese la biologia clinica scopre correlazioni tra corredo genetico e probabilità di contrarre certe malattie.

    Se l’effetto dei geni dipende dall’ambiente per divenire concausa di tumori o immunodeficienze, perché negare la possibilità che i geni che determinano il colore della pelle, o la struttura dello scheletro, non predispongano a tratti della personalità, seppure minori, invertibili con l’educazione, senza connotazioni di valore o dignità?

    Insomma, perché assillarsi nel negare la differenze umane, che siano generiche o culturali, quando la tendenza della globalizzazione è appiattire le diversità, e questo appiattimento comincia ad essere considerato universalmente come un male della nostra epoca, contro cui combattere la battaglia per la biodiversità?

    Inoltre, perché perdere di credibilità nel combattere le discriminazioni, affermando che il colore della pelle cambi lamarckianamente in base all’ambiente, quando non si sa scientificamente quanto sia vero e in quanti millenni avverrebbe?
    Lamarck è stato smentito dalla scienza moderna. Inoltre la paleoantropologia sta raccogliendo prove che i colori della pelle ed altri tratti dell’aspetto non dipendano dall’ambiente, ma dal meticciamento dell’Homo Sapiens con altri tipi umani usciti dall’Africa molto prima dell’Homo Sapiens, come, ad esempio il Neanderthal, o l’Ominino di Flores?

    Per essere breve, ritengo che il termine di “razza” sia fonte di equivoci, ma corrisponda al senso comune, e debba pertanto essere occasione di riflessione sulla diversità piuttosto che novecentesche anacronistiche grida manzoniane per invocare l’omogeneità anche laddove vi sia qualche diversità naturalmente distinguibili.

    Trovo che questo atteggiamento possa associarsi a una forma di ottusità, pari a quella di quelli che nel Terzo Millennio si affannano ancora in affermazioni quali “le donne sono uguali agli uomini” o “gli omosessuali sono eguali agli eterosessuali”. Perché non combattere contro la distinzione tra aranci e pompelmi, proponendo che per legge li si chiami solo “agrumi”.

    In Italia una certa scemenza dell’Asinistra, ha ostacolato come nel Medioevo, gli studi Antropologia Fisica, relegando l’Antropologia alle Facoltà letterarie, mentre nel mondo anglosassone l’Antropologia era da tempo diventata una materia scientifica tra le più importanti e promettenti.
    A volte mi vergogno di essere Italiano tra certi accademici italiani che meglio figurerebbero nella Commedia dell’Arte. Poi mi consolo dicendomi che non esiste la “razza italiana” e in fondo per questo sono andato negli Usa a prendere un dottorato in Antropologia.

    Non vorrei morire ipocrita, cialtrone, commediante, democristiano o asinistro, solo perché sono di un’antica famiglia italiana, e il Preside del Kroeber Institute of Anthropology di Berkeley riteneva che “fosse naturale” che studiassi il “familismo amorale del Meridione d’Italia con i fenomeni mafiosi collaterali”. Garbatamente rifiutai e persi la borsa di studio, ma passai il resto della vita a studiare in loco etnie con aspetto esteriore geneticamente ben diverso dal mio.

    Trovo il termine “razza” molto “pittoresco” e “divertente”. Ho apprezzato l’enciclica ambientalista di Papa Francesco “Laudato si’ “, e trovo che nel Cantico delle Creature le differenze tra Gialli, Neri e Bianchi sarebbero state benedette e non nascoste.

    Penso che la scemenza “antirazzista” abbia i giorni contati e stia superando in negatività il pur negativo razzismo. Si prenda la schifosa confusione dell’Asinistra verso il fenomeno dei migranti mal gestito da una burocrazia incompetente, speculativa e corrotta, che confessa con Buzzi, Mafia Capitale e Coop colluse, “che i migranti rendono più soldi (del contribuente) della droga”.

    Con il deprecabile stile dell’Asinistra proporrei di censurare quei prefetti con laurea in legge e prima elementare in antropologia e politica, che si permettano di tacciare di “razzismo” gruppi di accoglienti cittadini italiani solo perché protestano contro errori di corrotti che speculano sui migranti o sono incompetenti, o omettono di fare leggi che costringano i migranti a rispettare le leggi come vengono applicate agli italiani.

    Troppo spesso l’antirazzismo di maniera nasconde un razzismo al contrario, dietro cui si nasconde una casta di speculatori emergenza. Sono i cittadini italiani a dovere essere messi in grado di accogliere i migranti come risorsa, semplicemente facendo una giustizia oggi talmente inefficiente da generare proteste che è diffamatorio definire “antirazzista”.

    Se sono stato ironico abbastanza, mi si consentirà di concludere con un paradossale: “Il razzismo sta morendo, viva le razze!”. Spero che qualunque siano le differenze genetiche tra gli uomini, se ne possa parlare serenamente, in modo estetico e in libertà, senza subire un razzismo all’incontrario, che ottusamente censuri le differenze, come accade da decenni.

    In conclusione, penso che il problema di cancellare il termine “razza” dalla Costituzione non sia molto importante e, sebbene sia inappropriato e da correggere, lo trovo tutto sommato un po’ allegro, vintage, umoristico e utilmente chiarificatore per qualche dinosauro che ancora crede nella discriminazione razziale.

  • Prof. Ettore Ruberti 17 agosto 2015 alle 10:35

    La ricerca etnologica ha per decenni sofferto dell’Europeismo, ossia dal considerare l’uomo europeo il modello di riferimento o, addirittura il modello di uomo, relegando tutte le altre etnie ad un ruolo comprimario e, paradossalmente, considerare l’europeo come un’unica tipologia culturale e antropologica, spesso non sottoponibile ad indagine scientifica in quanto “uomo superiore”. E’ chiaro che, con lo sviluppo delle conoscenze e delle scienze naturali storiche, l’etnologia ottocentesca è stata destituita delle sue stesse basi ideologiche.
    Con lo sviluppo dell’antropologia moderna ci si è finalmente resi conto che non solo ogni etnia, ma addirittura ogni popolazione è caratterizzata da una tipologia culturale differente. Ovviamente esistono dei limiti fisiologici, strutturali e sociali che costituiscono costanti presenti in ogni cultura, a prescindere dalla distanza spaziale e/o temporale con qualsiasi altra. Sono quelle che Eibl-Eibesfeldt, fondatore dell’Etologia umana, definisce le invarianti nell’evoluzione della specie.
    Lo sviluppo, parallelo ma in gran parte autonomo, della ricerca antropologia portata avanti da Levi-Strauss, lo ha portato all’applicazione dello strutturalismo all’antropologia.
    Lo strutturalismo, essenzialmente assegna all’antropologia il compito specifico di definire le caratteristiche formali dei vari sistemi culturali, facendoli derivare ad un numero ristretto di principi di struttura sociale, e focalizzando le particolarità di ogni cultura, in questo richiamandosi al funzionalismo. Conseguenza di questo approccio metodologico, l’approfondimento delle diversità culturali e la consapevolezza che, dal punto di vista antropologico, perde di significato il concetto di razza, in quanto le razze umane (dimostrate poi inesistenti dalla genetica) sono infinitamente minori delle etnie e delle popolazioni. A questo punto mi rendo conto che devo spiegare al lettore come la genetica delle popolazioni è arrivata alla constatazione della non esistenza delle razze umane. Il concetto di razza umana è stato coniato quando la colonizzazione ha portato gli europei a contatto con altri gruppi etnici. I primi antropologi, basandosi soprattutto su caratteristiche fisiche esteriori e sul grado di avanzamento tecnologico e sociale raggiunto, avevano diviso gli uomini in cinque razze, spesso classificate in maniera verticale con il bianco nord-occidentale al vertice. Alcuni, soprattutto inglesi e francesi, avevano creato una contiguità di razza fra i neri e le scimmie antropomorfe. Alcuni studiosi più attenti, come Darwin, pur vissuti in epoca vittoriana, avevano fatto notare che non esisteva una netta separazione fra le caratteristiche fisiche, che si stemperano fra le popolazioni contigue. Dopo quasi un secolo e mezzo dalle osservazioni di Darwin, gli studi genetici compiuti da Cavalli-Sforza sul cromosoma Y (ossia il cromosoma maschile, il cosiddetto DNA di Adamo) e da Svante-Peebo sul DNA mitocondriale (come noto, il mitocondrio proviene dalla cellula uovo, il cosiddetto DNA di Eva), hanno dimostrato al di la di ogni ragionevole dubbio che la variabilità genetica all’interno delle singole popolazioni è paragonabile se non maggiore di quella presente fra le popolazioni, ne deriva che il concetto di razza umana non ha validità biologica. Questo dato è facilmente verificabile, confrontando il comportamento di persone adottate da rappresentanti di etnie diverse, del resto i casi di bambini allevati da animali selvaggi hanno ampiamente dimostrato l’estrema plasticità ed adattabilità della nostra specie.

  • Monzambano (MN), ingegnere

  • Albertacci Andrea 31 luglio 2015 alle 12:57

    Andrea Albertacci, Roma, Consulente informatico

  • Edgardo Lugaresi 27 giugno 2015 alle 18:51

    Vetralla (VT) Biologo nutrizionista

  • Teramo, studentessa di Scienze della comunicazione

  • “Il male del razzismo risiede nella negazione del diritto delle persone di essere giudicati come individui piuttosto che come membri del gruppo, e nel troncamento di opportunità o diritti su tale base. Ma questo vale anche per altri “ismi” come il sessismo, l’antisemitismo e i pregiudizi contro altri gruppi: i problemi razziali non sono razziali.
    Se i popoli biologicamente diversi non avessero differenze biologiche ma fossero caratterizzati semplicemente sulla base della lingua, della religione o del comportamento, ESISTEREBBERO ANCORA GLI STESSI PROBLEMI.
    Come facciamo a sapere questo? Perché esistono, per altri gruppi. I problemi di razza sono problemi sociali, non biologici.”
    [Ashley Montagu]

  • Castelnuovo Don Bosco, infermiere

  • Roma, studentessa di Biologia umana