Milano, 11 marzo 2014 - 09:05

Abortisce in bagno ospedale e accusa La replica della Asl: era assistita

Alla donna negata l’interruzione volontaria di gravidanza (legge 194). La coppia vuole figli ma è a rischio di grave anomalia genetica, eppure è stata loro rifiutato l’accesso alla diagnosi preimpianto. Tribunale solleva dubbi di costituzionalità sulla legge 40

di Redazione Online Roma e F. Di Frischia

shadow

ROMA - Prima di arrivare alle carte bollate per provare ad avere un figlio sano, Valentina e Fabrizio hanno vissuto sulla propria pelle l’esperienza di diversi aborti, l’ultimo in ospedale senza assistenza. Sono loro l’ultima coppia che, in ordine di tempo, ha ottenuto dal Tribunale della Capitale un’ordinanza che solleva il dubbio di legittimità costituzionale delle legge 40. Perché l’esperienza di Valentina e Fabrizio è un duro atto d’accusa contro i medici obiettori. Due anni fa, dopo che l’esame dei villi coriali aveva rilevato una grave malformazione del feto, al quinto mese, Valentina aveva chiesto un aborto terapeutico. Ma le era stata negata l’assistenza. Lasciata sola, ha partorito e perso il bambino nel bagno dell’ospedale Pertini. Eppure non ha voluto denunciare l’ospedale.

Omissione di soccorso

Una corsia del Pertini
Una corsia del Pertini

Valentina è portatrice di una grave anomalia genetica, ma alla coppia è stato in passato negato l’accesso alla fecondazione assistita e soprattutto alla diagnosi genetica preimpianto per impedire la trasmissione della patologia al nascituro. «Valentina ha abortito da sola nel bagno dell’ospedale Pertini di Roma - spiega Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Coscioni, nonché uno dei legali della coppia, che ha presentato lunedì il provvedimento del Tribunale -. Questa è omissione di soccorso, un reato penale, anche se la coppia ha deciso di non denunciare la struttura. È la dimostrazione di come la legge 194 in Italia non garantisca sempre la presenza di un medico non obiettore nel caso dell’interruzione volontaria della gravidanza».

La replica della Asl

La Asl Roma B in una nota sottolinea di aver provveduto a effettuare una verifica su quanto dichiarato dalla coppia. Precisa che Valentina è stata «seguita dal personale che ha l’obbligo dell’assistenza anche nel caso di obiezione di coscienza. Nel caso specifico da due medici non obiettori ». L’espulsione del feto, inoltre, sarebbe avvenuta «nella stanza di degenza». Il Ministero della salute rende noto di «aver chiesto alla Regione Lazio degli approfondimenti sulla vicenda». In particolare, si legge in una nota, «è stato chiesto alla Regione se abbia intrapreso azioni volte ad accertare che nelle strutture sanitarie preposte sia assicurato l’espletamento delle procedure previste dalla legge 194 del 1978 sulle interruzioni volontarie di gravidanza e con quali modalità la Regione controlla e garantisce l’espletamento di tali procedure nelle strutture sanitarie».

Niente Ivg in 10 su 37 nosocomi

In moltissimi ospedali italiani l’applicazione della legge 194 non è garantita, perciò in quei nosocomi non si eseguono interruzioni volontarie di gravidanza, nonostante la legge non preveda la possibilità dell’«obiezione di struttura». Come recita l’articolo 9 della legge il servizio di interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) deve essere garantito ed ogni struttura ospedaliera è obbligata a offrirlo. Eppure, secondo la Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194/1978 (Laiga) il fenomeno dell’obiezione anti abortista è in espansione nei nosocomi: «Rispetto ai dati del ministero della salute, che segnalano 7 ginecologi su 10 come obiettori di coscienza, i dati sono ben più gravi e in molte strutture manca del tutto il reparto di Ivg». Un’indagine del giugno 2013 segnalava come nel Lazio, in 10 ospedali su 31 non esistesse possibilità di effettuare l’interruzione volontaria; mentre in Lombardia la stessa grave carenza si segnalava in 37 strutture su 64; oltre il 50 per cento.

«Vogliamo un figlio»

Per assurdo, poi, la storia di Valentina e Fabrizio è un calvario di tentativi di divenire genitori: il primo era terminato con un aborto, a causa di una gravidanza extrauterina. Nel 2010, i due ragazzi ci avevano riprovato: a gestazione avanzata, tuttavia, quando era stata effettuata la villocentesi, erano emersi gravi problemi al feto. La coppia aveva così deciso di interrompere la gravidanza nell’ottobre 2010. E in quella occasione - racconta la donna - «sono stata lasciata sola» per colpa dei medici obiettori: «Dopo 15 ore di dolori lancinanti, vomito e svenimenti, ho partorito dentro il bagno dell’ospedale con il solo aiuto di mio marito».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ti potrebbero interessare anche articoli correlati
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT