Come scegliere le parole giuste

Se non ti vengono le parole, non sei (necessariamente) a corto delle stesse ma stai solo aspettando. Immagina che siano dei gomitoli di lana che vanno srotolati lentamente, altrimenti si ingarbugliano.

di Alessandra Minervini
Foto apertura

Quando scrivi, arrabbiati con le parole. Per almeno due ragioni. La prima ragione pertiene alla mancanza delle stesse: le parole non ci sono, anche dopo giornate intere passate a cercarle.
La seconda è inversa: troppe parole per raccontare un solo dettaglio, magari pure insignificante e che non porta avanti la storia.
Troppe o troppo poche. In ogni caso inutili, bloccano lo scorrere della storia e ti arrendi. Che faccio, mi chiedi.

La prima cosa è leggere altro. Cercare le parole nelle storie altrui: senza copiare, ma facendosi trasportare. La sensazione è un po’ come quella degli introversi che prima osservano il comportamento di chi appare più forte e coraggioso e poi si lanciano, si sciolgono, mostrano se stessi.
Scrivere segue dei ritmi molto naturali che non appartengono a chi scrive ma al tempo della storia. Ogni pausa va assecondata. Se non ti vengono le parole, non sei (necessariamente) a corto delle stesse ma stai solo aspettando. Immagina che siano dei gomitoli di lana che vanno srotolati lentamente, altrimenti si ingarbugliano.

Prova a fare questo esercizio creativo. Cerca in un libro che stai leggendo, o nel tuo preferito, la prima parola che ti piace. Usala. Inseriscila nella tua storia. Nel mondo virtuale si chiamano link: costruisci dei link a partire dalle parole che più ti piacciono o che non conosci. A me per esempio, piacciono molto le parole che non conosco. Sono terre inesplorate, storie inesplose. Quando sono a corto di parole, mi rivolgo al Maestro Tommaso Landolfi di cui possiedo Le più belle pagine. Il mio racconto preferito è La passeggiata:
“Sono un murcido, veh, son perfino un po’ gordo, ma una tal calma, mal rotta da quello zombare o dai radi cuiussi del giardiniere col terzomo, mi faceva l’effetto di un malagma o di un dropace!”.
Un’orchestra di parole. Ognuna suona uno strumento producendo una melodia unica. Ogni termine non solo non può essere eliminato ma nemmeno sostituito. La prosa di Landolfi scava dentro la sostanza dello scrivere che è scegliere le parole esatte. Questo vale anche per il difetto opposto, quello in cui le parole sono troppe e non si arriva mai al punto.

“Sì, bella frase ma tiriamo le somme!”, ti dico
“Come faccio?”, mi rispondi.
Con un altro esercizio che allena il senso pratico. Se alcune parole non portano a niente: eliminale. Sono parole che non servono. Magari ti piacciono. A maggior ragione, toglile. Non tutto quello che ci piace ci fa bene. Anzi quasi niente. Non abusare delle parole solo per mettere in mostra la tua conoscenza o il tuo ego o, peggio, per fare colpo.

Ecco che allora la mancanza di parole e l’abbondanza delle stesse diventano i risvolti di una stessa medaglia: se ti mancano le parole spesso significa che stai girando a vuoto una chiave sbagliata; se invece scrivi scrivi ma non centri il punto vuol dire che non è quello, il punto.

*Alessandra Minervini lavora come editor della narrativa italiana per LiberAria e come consulente di progetti editoriali per la Scuola Holden. Ha cambiato molte città, tagli di capelli, e tantissime idee. Ma Fëdor Dostoevskij resta, da sempre, il suo scrittore preferito

 

 

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