SELF PUBLISHING E POESIA. INTERVISTA AL VINCITORE DEL CONTEST ILMIOESORDIO 2014

Dimitri Ruggeri, le “poesie di reportage” di un viaggiatore instancabile

L'autore de Il marinaio di Saigon si aggiudica il premio della critica con un progetto maturo e di ampio respiro.

Foto apertura

Dimitri Ruggeri vive a Pescara, dove attualmente lavora. Laureato in Economia e Commercio presso “La Sapienza” di Roma, ama scrivere da quando è adolescente.
Autore di racconti e reportages, viaggiatore in più di cinquanta paesi al mondo, scrive  opere in versi avvalendosi di diverse forme espressive per rappresentare la poesia in borghi in disuso e campi agricoli. Al fine di avvicinare il pubblico alla poesia, ha realizzato rappresentazioni teatrali di poesia sperimentale, nonché video e audio-poesie tratte dalle sue raccolte.
Ecco il booktrailer del libro e l’intervista all’autore:

 

Come è nata questa passione per la poesia?
Ho letto molta poesia e ho scritto molto per esercitarmi. È stato un percorso graduale, simile alla pelle di un serpente che cade e rinasce. Scrivo poesie da quando ho circa 15 anni, quando iniziai a frequentare il Liceo come allievo della Scuola Navale Morosini di Venezia. Lì, infatti, lontano dalla mia regione d’origine (l’Abruzzo), figlio della nostalgia, iniziai a comporre i miei primi versi, probabilmente come forma di “difesa”. Poi, è diventata una forma di “aggressione” . Applico alla poesia il principio della termodinamica: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.  

Quali poeti del passato hanno influito di più sul tuo modo di scrivere versi? 
Le poesie che mi hanno commosso, per la prima volta nella mia vita, sono state quelle di Allen Ginsberg. Poi ci sono stati tantissimi altri poeti che in questi anni mi hanno fatto compagnia, che mi hanno dato numerosi spunti, sia italiani sia stranieri: Cesare Pavese, Giovanni Raboni, Piero Jahier, Clemente Rebora, Umberto Saba, Federico García Lorca, Eugenio Montale, Gabriele D’Annunzio, Paul Celan, Primo Levi, Kostantinos Kavafis e tanti altri. Ho imparato ad amare anche i poeti della classicità greca e latina, quelli più celebri (come Omero, Virgilio, Catullo e Orazio), ma anche quelli quasi sconosciuti a chi non è un classicista (come Posidippo di Pella, gli epigrammi del quale mi hanno ispirato qualche lirica de “Il Marinaio di Saigon”). Tra gli scrittori in prosa, invece, ha avuto un’influenza determinante Ignazio Silone, forse l’unico scrittore veramente internazionale che, nonostante non sia stato un poeta, attraverso il suo modo di scrivere semplice e diretto, è riuscito a trasmettermi l’indole del “cafone” reazionario.

Quali sono le tue fonti di ispirazione? 
Mi ispiro alla realtà. Cerco di essere un bravo osservatore. Mi concentro molto su quello che vivo giornalmente. Quasi tutte le mie poesie, infatti, si riferiscono a qualcosa che ho vissuto; si potrebbe dire che sono il prodotto di quello che sono. Credo nella poesia d’azione, intesa come servizio sociale per la collettività. Cerco nella poesia un “normalismo” che spesso però si confonde con la pazzia o la follia. 

Qual è la poeticità di Dimitri Ruggeri? 
Il critico e saggista Vittoriano Esposito ha definito la mia poesia poesia di reportage; termine che in seguito è stato oggetto di un’ampia esegesi critica da parte della filologa Bruna Capuzza. È a mio avviso una poetica “onesta”, come la intendeva Saba, che piace perché cruda, metallica, diretta, asciutta, senza fronzoli, priva di qualsiasi orpello retorico, ma allo stesso tempo sensuale. Odio la poesia generata dai “mal di pancia” melanconici o d’amore. Ma tale peculiarità stilistica non la si ritrova in tutte le mie poesie, perché cerco di cambiare continuamente, di sperimentare sempre nuove forme di linguaggio e di stile. In questa raccolta, per esempio, sono andato proprio contro la poesia tradizionale, quasi con intenzione di sfida. Il marinaio è in realtà un pirata che veleggia contro la poesia tradizionale. Ho utilizzato un linguaggio molto diverso per rendere bene questo viaggio metaforico che ha tanti strati, dove ognuno può trovare quello più consono alle proprie aspettative. Preferisco dire di essere stato un artigiano delle parole, più che un’artista e poeta. Ne “Il Marinaio di Saigon” ho cercato l’equilibrio tra una poetica diacronica e una sincronica.

Se dovessi darci una sintetica “definizione di poesia”, cosa ci diresti? 
È un atto di creazione. Quando crei o generi metti al mondo un figlio-Pinocchio, che poi devi crescere e far diventare un Uomo. È un burattino bambino con il cuore umano da adulto dal legno tenero che deve solo essere plasmato. Quando si parla di poesia si pensa sempre a qualcosa di astratto. La poesia, invece, è molto più visibile di quello che si pensa. È generata dal poeta che, prima di ottenere quest’ambito appellativo, deve vivere l’underground del “verseggiatore”. 

Scrivere poesie può essere un’attività amatoriale alla portata di tutti?
Per scrivere poesie non bisogna essere né dei folli né dei geni. Bisogna essere persone normali che la amano. Bisogna leggere molto e interrogarsi. Allora devi capire se sarai oltre che un lettore uno scrittore. Ci si può tranquillamente fermare al primo stadio. Chi va avanti deve sapere che va al patibolo e il confine tra l’essere ridicolo e l’essere credibile è molto sottile. Bisogna essere metodici e sforzarsi anche di leggere gli altri (molte volte turandosi il proprio naso) per capire quali sono i propri punti di forza o di debolezza. 

La tua raccolta è divisa in due sezioni. Puoi darci qualche chiave di lettura per ognuna di esse? 
La prima sezione è chiamata, appunto, “Il Marinaio di Saigon”. I testi sono in realtà dei poemi di lunghezza impegnativa. Mi piace paragonarli a tele dipinte di grosso formato, per intenderci; la seconda parte (“Et secunda carmina imperfecta”), invece, è legata alla prima solo temporalmente. Le liriche che ne fanno parte sono paragonabili a bozzetti, quadretti; con un termine classico (e leopardiano) potremmo definirle moderni idilli. Ho reputato di costituire un’unica raccolta con testi così diversi perché essi si sono integrati nel mio viaggio e sono stati parte integrante di questo. Quindi sono due libri in uno! 

L’immagine del mare sembrerebbe esserti alquanto cara… 
Il mare è una componente importante della mia vita. Ho vissuto prima a Venezia, poi a Roma per più di dieci anni ed ora a Pescara, tuttavia sono nato in Abruzzo e nella Marsica in particolare, una terra di Santi, di Madonne e di meravigliosi monti. 

Molti talenti vengono scoperti grazie al self-publishing. Puoi descrivere la tua esperienza?  
La mia è stata una scelta “politica”. Con l’autopubblicazione volevo prendermi la responsabilità di quello che stavo scrivendo e ovviamente i meriti di eventuali riscontri a livello di critica e pubblico. Inoltre, volevo essere libero di utilizzare e riadattare i testi senza essere vincolato da aspetti contrattuali. Infatti, in questo modo, ho potuto realizzare video -poesie, cortometraggi e audiolibri tratti dalle mie opere. Il self-publishing, se vissuto con consapevolezza, può riservarti delle belle soddisfazioni. D’altra parte, insieme al  creative commons, rappresenta  l’opportunità di far circolare più velocemente  le proprie opere.
Credo che l’editoria debba cambiare il proprio “modus operandi” e dare più opportunità a chi non fa parte di cerchie ristrette. Ho sentito personalmente alcuni illustri autori stranieri ridere della nostra poesia contemporanea. Di chi è la colpa? Di quelli che ci sono o di quelli che il panorama letterario ignora? Riflettiamo.

 

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