Beni comuni

BeniComuniOvunque due o più cittadini si mettano insieme per gestire un luogo o una situazione a vantaggio di una comunità di persone, si entra nel territorio dei beni comuni. Non è più come dalla Rivoluzione francese in poi, l'evento che espresse il crescente bisogno di auto determinarsi per un numero sempre maggiore di cittadini. Non è più  la semplice necessità di redistribuire la ricchezza dalle mani di pochi a un molti non ben definito. Nell'era post ideologica l'acquisizione di beni da mettere al servizio della comunità è l'effetto della manifesta incapacità degli enti di gestire ad esempio i patrimoni immobiliari e i terreni. O del fallimento della privatizzazione a ogni costo, ricetta che su numeri elevati tendenti alla totalità delle situazioni presenti sul mercato non poteva che fallire. Nella giungla del liberismo più sfrenato logico ci siano aspetti non controllabili. E non tutte le speculazioni riescono col buco. Molte finiscono piuttosto in clamorosi buchi di bilancio. Così è presto seguita la pretesa di sanare quei deficit attingendo dalle tasche dei cittadini. Prima pagavamo tasse per avere servizi e futuro assicurato facendo inorridire i liberisti, oggi le paghiamo anche più salate per ripianare i bilanci delle partecipate pubblico-privato pretese e ottenute da quegli stessi liberisti. Muove da qui, se avete un momento per guardare le cose dalla giusta distanza, quel fermento di donne e uomini che a tutte le latitudini stanno creando reti per rimediare alle carenze centrali. Penso alle scuole sempre aperte. O ai genitori che vanno a tinteggiarle. La condivisione della proprietà degli alloggi o dell'automobile. Oppure gli orti urbani sorti nelle aree dismesse delle principali città del mondo. Penso anche a chi si mette insieme per provvedere agli acquisti dei generi di prima necessità attraverso quelli che si chiamano Gas (Gruppi di acquisto solidali), comunque un passo avanti ma sempre sulla falsariga dell'attività dei Cral quando ancora tutti, chi più chi meno, potevano dirsi occupati in aziende sufficientemente strutturate nei numeri. Siamo di fronte a una crescente auto-organizzazione dal basso che non si prefigge più di rovesciare il sistema, ma che muove dalla presa d'atto che il sistema puntato alla logica estrema del profitto non è più una casa sufficientemente grande per tenere dentro tutti. In verità non lo è mai stata, adesso però è evaporata pure l'illusione. Quella che tra gli anni Ottanta e i primi Novanta ci suggeriva di non affannarci troppo. Perché tanto la strada era ampia e le corsie scorrevoli e delineate. Il brusco risveglio dalle certezze svanite ha fatto aguzzare l'ingegno dei più intraprendenti tra noi. Come nel caso di quelle 400 aziende ripartite sotto forma di cooperative delle 120mila divorate dalla crisi in Italia. Il futuro è pensare e darsi da fare. E gli spazi per agire può persino capitare che improvvisamente si allarghino. (su Twitter @stepallaroni)

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