CODICE ANTIMAFIA: LE NUOVE NORME PER LE AZIENDE CONFISCATE ALLA MAFIA E LE MISURE DI PREVENZIONE

Dopo due anni di approfondito lavoro in Commissione Giustizia, la riforma del codice antimafia – nata da una proposta di iniziativa popolare (CGIL, ACLI, ARCI, Libera, Avviso Pubblico a cui hanno aderito più di 120mila cittadini) – è stata approvata in prima lettura alla Camera.

L’obiettivo del provvedimento è quello di dare maggiore efficacia alle norme sulla gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata.

La legge 109 del 1996, che permette la confisca e l’utilizzo sociale dei beni sequestrati alle mafie, si è rivelata uno strumento di straordinaria efficacia nella lotta alla criminalità organizzata. Confiscare le loro ricchezze e restituirle alla collettività è lo schiaffo più pesante che si possa dare ai mafiosi. Ma dopo 20anni di attuazione, la legge evidenzia alcuni limiti e lacune che spesso bloccano l’efficacia stessa della legge. Capita, infatti, che molte volte i beni confiscati non vengano valorizzati e che anzi, deperiscano nell’incuria e nel degrado. Il problema diventa ancora più evidente quando il sequestro e la confisca riguardano attività imprenditoriali che danno lavoro a decine di cittadini onesti e incolpevoli. Spesso queste aziende, incontrano difficoltà insormontabili nel proseguire l’attività economica. Alla notizia del sequestro i clienti si allontanano, i fornitori reclamano i loro crediti, le banche revocano i fidi. L’amministratore giudiziario opera come un liquidatore, non ha gli strumenti e nemmeno l’approccio giusto per tenere l’azienda sul mercato. Questo fa sì che oltre il 90% di queste aziende fallisce e i dipendenti perdono il lavoro.
Con la nuova legge, che da un lato presenta misure di contrasto sistematico alle organizzazioni criminali per colpirle nelle imprese illecite e dall’altro prevede misure economiche di sostegno alle imprese stesse affinché continuino la propria attività anche dopo la confisca o il sequestro,  riusciamo a smentire quell’odiosa convinzione che “La Mafia dà lavoro, lo Stato no”.

Vediamo, quindi, quali sono le novità principali del nuovo provvedimento:

  • le modifiche al ruolo e alle funzioni dell’Agenzia Nazionale per i Beni Confiscati, valorizzandone il ruolo di supporto alla magistratura nella gestione dei beni fino al provvedimento definitivo di confisca. Presso l’Agenzia saranno istituiti un apposito Ufficio produttive e sindacali e una banca delle aziende sequestrate e confiscate. Inoltre l’Agenzia verrà ridisegnata spostando il baricentro dal Ministero dell’Interno alla Presidenza del Consiglio che ne avrà la vigilanza.
  • l’istituzione del Fondo di rotazione finanziato con le liquidità confiscate, da utilizzarsi per garantire le linee di credito interrotte con l’avvento dell’amministratore giudiziario e per supportare il percorso di emersione alla legalità di queste aziende favorendo la creazione di nuova e buona occupazione.
  • sono garantiti i diritti dei terzi in buona fede che risultano da atti anteriori al sequestro. L’amministratore giudiziario può essere autorizzato a pagare subito i “creditori strategici” a beneficio della continuità aziendale.
  • maggiore trasparenze nella scelta degli amministratori giudiziari: non potranno più assumere l’ufficio di amministratore giudiziario, coadiutore o diretto collaboratore il coniuge, i parenti e gli affini, i conviventi o i commensali abituali del magistrato che conferisce l’incarico.
  • delega al Governo per individuare specifici incentivi e ammortizzatori sociali per il lavoratori delle aziende confiscate e sequestrate. Al fine di favorire la continuità produttiva saranno anche istituiti tavoli provinciali permanenti presso la prefettura con i rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni datoriali e dei lavoratori ed è previsto il supporto tecnico a titolo gratuito di imprenditori del settore che matureranno, dopo un anno di collaborazione, un diritto di prelazione in caso di vendita o affitto dell’azienda.
  • Contro il caporalato scatta la confisca obbligatoria di ciò che è servito a commettere il reato. La confisca, operativa dopo la condanna definitiva per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, può riguardare anche prezzo o profitto del reato o beni diversi del reo (per equivalente). È consentita anche la confisca allargata: se il reato è commesso da un dipendente nell’interesse dell’impresa, ne risponde anche la società (sanzione pecuniaria da 400 a 1.000 quote.

Una legge, insomma, che offre un contributo decisivo sulle misure di prevenzione e di contrasto all’economia criminale (che ricordiamo vale il 7% del PIL italiano), investendo nella partecipazione civica e nel ruolo degli attori sociali.

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