Il mistero del Pil gonfiato dal deflatore

Aspettate, non cambiate canale solo perché il titolo di questo post è cripticamente demenziale! Vorrei solo spiegarvi cosa ha determinato la revisione da “mini-boom” del Pil italiano del primo trimestre, pubblicata da Istat, e che ha visto il raddoppio del dato trimestrale da +0,2% a +0,4% e quello tendenziale crescere del 50% (vi piace questo giochetto dialettico-numerico?), da +0,8% a +1,2%. Ma che accadde, quindi?

Per farla la più semplice possibile, dovete sapere che la variazione del Pil reale si ottiene detraendo da quella nominale (a prezzi correnti) il deflatore del Pil. Che non è l'”inflazione”, cioè l’indice dei prezzi al consumo. Il deflatore del Pil misura il livello dei prezzi di tutti i beni e i servizi prodotti nell’economia, mentre l’indice dei prezzi al consumo misura quelli di tutti i beni e i servizi acquistati dai consumatori. Quindi, un aumento del prezzo dei beni e dei servizi acquistati dalle imprese o dalla pubblica amministrazione viene rilevato dal deflatore del Pil, ma non dall’indice dei prezzi al consumo.

Questo in primissima approssimazione, quella che serve qui. Ora, andiamo a vedere di quanto è variato il Pil a prezzi correnti, cioè non deflazionato. Nelle parole di Istat, grassetto nostro:

«Rispetto al trimestre precedente, il PIL ai prezzi correnti, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito dello 0,1%, il deflatore del PIL è diminuito dello 0,6%. Il deflatore della spesa delle famiglie residenti è cresciuto dello 0,7%, mentre quello degli investimenti fissi lordi è diminuito dell’1,6%. Il deflatore delle importazioni è aumentato del 2,1% e quello delle esportazioni dell’1,0%»

Avete letto bene: su base congiunturale, cioè nel primo trimestre 2017 sul quarto trimestre 2016, il Pil nominale è diminuito dello 0,1%. Per calcolare quello reale, serve sottrarre alla variazione del Pil nominale la variazione del deflatore del Pil. In questo caso abbiamo quindi -0,1% – (-0,6) = +0,5%. Che è addirittura superiore al +0,4% reale segnalato, ma forse qui giocano gli arrotondamenti. Andiamo ora a vedere la variazione tendenziale, cioè annuale:

«In termini tendenziali, il PIL ai prezzi correnti, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è aumentato dello 0,7%, il deflatore del PIL è diminuito dello 0,5%. Il deflatore della spesa delle famiglie residenti è aumentato dell’1,1%, mentre quello degli investimenti fissi lordi è diminuito dello 0,1%. Il deflatore delle importazioni è aumentato del 3,7% e quello delle esportazioni del 2,3%»

Anche qui, osservate: la variazione annuale del Pil nominale è uno striminzito 0,7%. Per dare la misura, la Spagna ha un Pil nominale tendenziale che cresce di 3,5% o poco più. Quello aiuta Madrid a ridurre il rapporto debito-Pil, per la ben nota regoletta.

E quindi? Quindi il Pil reale italiano cresce grazie a deflatori ampiamente negativi. Un bene, un male? Diciamo che non aiuta a ridurre il rapporto d’indebitamento, ecco. Se torniamo a guardare i dati reali, cioè deflazionati, vediamo che il contributo alla crescita non è cambiato rispetto allo scorso trimestre. Per fare questo, guardiamo la variazione della domanda nazionale al netto delle scorte:

Pil Q1 2017 tendenziale contributi

Visto? Siamo ancora e sempre nell’intorno trimestrale di +0,3/+0,4%. Meglio i consumi delle famiglie, negativo il contributo degli investimenti, la domanda estera netta sottrae crescita, perché la variazione delle importazioni supera quella delle esportazioni. La crescita viene da un +0,4% di scorte. Ora, serve comprendersi: molti analisti leggono questa componente del Pil come se si trattasse di scorte fisiche, di magazzino delle imprese. Quando aumenta, i report scrivono cose del tipo: “sarà un accumulo volontario, per fare fronte alla forte domanda, oppure involontario, causato dall’indebolimento della medesima? Ah, saperlo”. Non è argomentazione del tutto scorretta, ma qui serve sapere altro. Le “scorte”, in contabilità nazionale, sono una sorta di variabile “jolly”, che permette cioè di riconciliare il dato complessivo di variazione del Pil con quello delle sue componenti costitutive: consumi pubblici e privati, investimenti, commercio estero netto.

Ecco, per riassumere: la variazione del Pil italiano del primo trimestre è frutto di un deflatore del Pil fortemente negativo, che spinge il Pil reale, mentre l’aumento delle “scorte” spiega (si fa per dire) la differenza tra il totale e le sue parti. Assai verosimile che la crescita italiana non fosse al +0,8% dello scorso trimestre, ma neppure al “mirabolante” 1,2% di questo. Il prossimo trimestre, ed i successivi, dovrebbero normalizzare questo “blip”.

Resta il dato di fondo: la crescita nominale italiana, allo 0,7% tendenziale, resta troppo esangue per fronteggiare con successo il costo medio del nostro debito. Alla fine, tutto inizia e finisce lì. Ma sarebbe utile restare sobri, nel senso di non assumere alcolici. Almeno, non prima di twittare:

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