Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2010 alle ore 09:15. L'ultima modifica è del 23 giugno 2010 alle ore 09:54.
Festina lente (affrettati lentamente) è un consiglio che abbiamo ereditato dagli antichi romani. I politici occidentali odierni dovrebbero farne tesoro. Di fronte agli enormi deficit di bilancio, molti sono arrivati alla conclusione che il risanamento va affrettato il più possibile, nella speranza che produca effetti espansivi. Quante probabilità ci sono che vada così? Poche, secondo me. E ci sono anche a disposizione alternative migliori. Ma il loro inconveniente è che si tratta di misure non ortodosse, e purtroppo molte persone "di buon senso" preferiscono recessioni ortodosse a riprese non ortodosse.
In che modo un drastico risanamento strutturale dei conti pubblici può favorire la ripresa? Come osservano i due professori di Harvard Alberto Alesina e Silvia Ardagna in un autorevole saggio (Il Sole 24 Ore del 14 febbraio scorso), se c'è un deficit probabile più contenuto la fiducia di consumatori e investitori può migliorare, facendo crescere i consumi e facendo scendere i premi di rischio sui tassi di interesse.
Contemporaneamente, sul versante dell'offerta, il risanamento potrebbe incrementare l'offerta di manodopera, di capitali o d'imprenditorialità. Le conclusioni generali di questo saggio sono che le correzioni dei conti pubblici «basate su tagli della spesa e nessun incremento delle tasse hanno maggiori probabilità di ridurre il deficit e il debito pubblico in rapporto al Pil di quelle basate su incrementi delle tasse. Inoltre, i risanamenti operati intervenendo sulla spesa piuttosto che sulle tasse hanno minori probabilità di dare origine a una recessione».
Questa linea di pensiero ha rafforzato la determinazione di George Osborne, il cancelliere dello scacchiere del nuovo esecutivo britannico. Ma è convincente? In una parola sola: no. Gli autori si basano sui dati relativi ai paesi dell'Ocse tra il 1970 e il 2007. Ma l'impatto del risanamento dei conti pubblici dipende dalle circostanze.
Una riduzione del disavanzo dev'essere compensata da variazioni nel saldo con l'estero e nel saldo del settore privato. Se si vuole che la contrazione della spesa pubblica produca effetti espansivi, devono aumentare le esportazioni nette e deve salire la spesa privata, o scendere il tasso di risparmio del settore privato.
Dunque, gli effetti della contrazione della spesa pubblica saranno molto diversi se avvengono in pochi piccoli paesi invece che in molti grandi paesi contemporaneamente come adesso, se il settore finanziario è in buona salute e non azzoppato come adesso, se il settore privato non è fortemente indebitato come adesso, se i tassi d'interesse sono alti invece di essere quasi a zero come adesso, se la domanda esterna è vivace invece di essere stentata come è adesso, e se i tassi di cambio reali subiscono forti deprezzamenti invece di restare fissi come è adesso.
Insomma, quando, come ora, le economie colpite dalla fragilità del settore finanziario equivalgono alla metà dell'economia mondiale (anzi, se si mette nel conto l'economia giapponese, tuttora fragile, si arriva quasi al 60%), quando la grande economia più dinamica del pianeta (la Cina) segue una politica mercantilista, quando i tassi d'interesse sono prossimi allo zero e quando le famiglie e le imprese faticano ad accedere al credito, l'idea che un risanamento prematuro dei conti pubblici possa produrre effetti solidamente espansivi è sicuramente fuori dal comune. Io spero che sia vero. Ma non ci sono molti motivi per crederlo.
Un altro studio, dello Us Committee for a Responsible Federal Budget, ha esaminato i casi del Canada, della Danimarca, della Finlandia, dell'Irlanda e della Svezia. Quello che emerge è l'importanza della domanda esterna e, in molti casi, di un fortissimo deprezzamento del tasso di cambio. Questi esempi di successo sono di qualche utilità per la situazione in cui si trovato attualmente gli Stati Uniti e l'Unione Europea? Ne dubito fortemente.
Un altro approccio ancora consiste nel trovare una situazione che abbia forti analogie con quella odierna. Il termine di paragone più efficace sono gli anni 30, dal punto di vista della percentuale dell'economia mondiale colpita dalla crisi, dal punto di vista dei tassi d'interesse bassi e dal punto di vista del contesto generale disinflattivo (o, in questo caso, deflattivo). Uno studio pubblicato l'anno scorso è arrivato alla conclusione che quando si è tentata la strada degli stimoli di bilancio il successo è arrivato. Ne consegue che il risanamento dei bilanci a quell'epoca avrebbe avuto - anzi, ebbe - effetti contrattivi sull'economia.
Nelle circostanze attuali, la convinzione che un risanamento concertato dei bilanci pubblici in tutti i paesi industrializzati possa produrre effetti espansivi è, per usare un eufemismo, ottimistica. A questo punto mi chiederete: qual è l'alternativa? Se questi deficit enormi persistono, i mercati si spaventeranno, i tassi d'interesse saliranno e le dinamiche del debito diventeranno realmente drammatiche.
Ho due risposte a questo proposito. La prima, che ho esposto la settimana scorsa, è che il ciclo di deleveraging sta generando colossali eccedenze nel settore privato in tutto il mondo industrializzato. A meno che queste eccedenze si trasformino in surplus complessivi nel saldo con l'estero (con il contraltare di deficit nei paesi emergenti) dovranno essere investite in titoli di stato. Tutto questo contribuisce a spiegare perché i rendimenti sui titoli di stato dei governi meno a rischio rimangono bassi.
La seconda risposta è che se i governi hanno la necessità di tenere in piedi un disavanzo, per sostenere la domanda in un momento di debolezza del settore privato, possono sempre prendere in prestito denaro dalle Banche centrali. Sì, sto parlando di "stampare moneta". È una misura follemente radicale, raccomandata da quel folle radicale che era Milton Friedman nel lontano 1948. La sua opinione era che il governo poteva espandere la massa monetaria durante le recessioni e contrarla nei successivi periodi di boom economico. Un paese con una moneta a corso forzoso e fluttuante, dunque, potrebbe stabilizzare l'economia senza destabilizzare i mercati del credito. La cosa bella di questa proposta è che non bisogna scegliere se puntare prevalentemente sulla politica di bilancio o sulla politica monetaria: sono due facce della stessa medaglia.
La tesi in favore di un'espansione monetaria aggressiva rimane forte, anche se non allo stesso modo ovunque, dal momento che la crescita della moneta in senso ampio e del Pil nominale è debole. Dunque la politica raccomandata da Friedman di "espansione quantitativa", come viene chiamata, ha ancora una sua logica. Sto consigliando di adottare la politica economica di Robert Mugabe? No. Come per qualunque altra cosa, è il contesto che conta. Al momento attuale, abbiamo "troppo poco denaro per troppi beni". In un contesto simile, la politica monetaria dev'essere aggressiva.