Con ventisei milioni di cittadini senza lavoro, la disoccupazione è epidemica in Europa: eppure, senza Europa, i disoccupati cresceranno, non diminuiranno.

Con il Parlamento europeo a legiferare senza sosta per regolare – o almeno provare a goffamente regolare - tecnologie, innovazione, ricerca scientifica, l’Europa perde colpi davanti a Silicon Valley e Bangalore nel software: eppure senza Europa nessuna azienda o laboratorio Ue avrebbe peso nel mondo, e il Cern – culla del bosone di Higgs e del world wide web - chiuderebbe i battenti. I parlamentari che eleggeremo il 25 maggio, riottosi, populisti e in vena di protezionismi economici e culturali, vogliono bocciare, malauguratamente, il patto di libero scambio con gli Usa: eppure senza Europa nessuna capitale del vecchio continente avrà peso specifico trattando con Washington. Fa disperare la pavidità con cui Bruxelles fronteggia l’aggressività di Putin, fino ai pasticcini offerti da Lady Ashton al ministro degli Esteri russo Lavrov mentre in Ucraina si moriva in strada: eppure senza Europa il Cremlino non avrà rivali tra la Moscova e il Potomac, fiume della capitale americana.

È il paradosso delle VIII elezioni europee dal 1979: l’Ue genera talmente tanti problemi che il 50% dei cittadini ne diffida, meno della metà andrà alle urne e un terzo degli elettori sceglierà simboli anti Unione, destra o sinistra, Le Pen a Parigi, Farage a Londra, Grillo a Roma, Alba Dorata o Tsipras ad Atene. 380 milioni di elettori, il secondo corpo democratico del pianeta Terra dopo l’India, l’Europa è accusata – e spesso colpevole - di colpe gravi, che però il ritorno a Stati nazionali e valute locali, moltiplicherà, non sanerà.

Riflettano le lettrici e i lettori infuriati con Bruxelles e l’euro: le lagnanze che mugugniamo all’ombra della bandiera blu a stelle d’oro sono le stesse che hanno portato alla vittoria in India il nazionalista hindu Modi, in America azzittiscono il dialogo tra Congresso e Casa Bianca, e che così bene Vladimir Vladimirovich Putin strumentalizza a Mosca. Mal comune, non solo dell’Europa comune.

L’Europa esaspera, vero. Berlino combatte fantasmi dell’inflazione alla Weimar, invisibili ormai come la ballata del Mackie Messer 1928, predicando l’impossibile sermone «tutti i Paesi possono essere esportatori sul modello teutonico». Italia e Francia non riescono a completare le riforme e contenere il debito. Spagna e Grecia, dopo i disastri, colgono i benefici tardivi della svolta. Una pletora di burocrati e tecnocrati grigi ci stucca e tre candidati leader, Juncker, Schulz e Verhofstadt, sembrano a volte la caricatura populista del «Solito Politico».

Ma – è questa la posta in gioco - se il 25 maggio prevarranno le forze della disunione, della frammentazione nazionalistica, con veti e dazi a bloccare emigrazione, commerci, mercato, nella nuova Europa, tra i canti di vittoria Cinque Stelle, Ukip e Fronte Nazionale, vivremo peggio, non meglio. Quando l’ultima diaspora antieuropea travolgerà le speranze, magari solo i sogni, di quella che «La Stampa» ha definito Generazione Erasmus, i ragazzi che studiano all’estero, prima leva davvero «europea» nella nostra storia recente, non avremo il ritorno all’armonia, con artigiani operosi da villaggio delle fiabe, l’Europa «all’antica» cara alla propaganda anti-Ue: avremo una «generazione Hobbes», europei lupi tra loro.

Non ci faremo subito la guerra, anche se le tensioni nei Balcani, in Ungheria, al confine tra Polonia e Ucraina, o al Nord tra scandinavi, baltici e russi, sono serie, ma ciascuno darà il peggio di sé, tedeschi a farla da padroni, inglesi chiusi oltre Manica come il vecchio John Bull, europei dell’Est ripresi dai rancori che hanno insanguinato il XX secolo, noi latini sedotti dalla droga svalutazione e debito facili, a sostenere mediocri prodotti da esportazione. E l’italiano Mario Draghi, che giusto sulla linea ha salvato l’euro, sarà sommerso di autogol.

Non ascoltate dunque Gatti e Volpi populiste. I nostri guai sono i guai del tempo, globalizzazione che marginalizza, tecnologia che elimina ceti medi e operai, flussi migratori che non sappiamo qualificare o formare, incertezza sul futuro che ci ha tolto le identità, pur dolorose, di nonni e genitori. Non è detto – il lieto fine era scontato in tv solo prima di Troni di Spade, mai nella Storia - che l’Europa riesca a uscire libera, unita e prospera dalla crisi politica, economica e morale di questa stagione. Ma se la «Generazione Hobbes» prevarrà sulla «Generazione Erasmus», se i populisti prevarranno alle urne, è detto che lo spirito europeo declinerà. I leader hanno perso il diritto di criminalizzare gli elettori che sceglieranno, disgustati da inerzia e corruzione, le sigle di un Ritorno al Passato camuffate da Futuro. Non erano forse intonati a «Avvenire» e «Giovinezza» gli inni totalitari di destra e sinistra un secolo or sono? Ma chi vota contro il futuro, prepara a se stesso, e a tutti noi, un futuro buio.