Milano, 22 aprile 2016 - 19:13

Scalfarotto «Dal turismo alla moda
un unico team per il made in Italy»

Il sottosegretario allo Sviluppo economico: «L’Italia parli con una voce sola». Le sanzioni alla Russia? «Fa premio la politica estera». «Nel 2015 attratti 75 miliardi di investimenti esteri, più della metà in partecipazioni minoranza. Vuol dire che c’è fiducia»

Ivan Scalfarotto Ivan Scalfarotto
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Un avvicendamento che avviene «nella massima continuità». E che potrà giovarsi del fatto che Carlo Calenda, che lo ha preceduto, oggi è a Bruxelles come rappresentante italiano. Questo permetterà «un lavoro di concerto per far sì che in Europa e nel mondo l’Italia possa rivestire un ruolo da protagonista». Alla vigilia del Comitato per la moda che, giovedì 28 aprile, entrerà nel vivo della sua attività affrontando il tema della sostenibilità (articolo a fianco), il sottosegretario allo Sviluppo economico, Ivan Scalfarotto, per la prima volta disegna pubblicamente le linee guida del suo mandato. Che ha un punto di arrivo: che «l’Italia parli con una voce sola. Perché noi siamo una cosa unica dal punto di vista dell’arte, del turismo, dei prodotti industriali, della cultura. Miriamo ad avere un biglietto da visita coerente, che tenga insieme tutto questo e grazie al quale non avremo avversari».

E, quindi, il suo ruolo? «Il mio ruolo è quello di chi è inserito in una squadra, con Martina (ministro per le Politiche agricole,ndr), Gentiloni (Esteri), Franceschini (Beni e attività culturali)… e ora anche l’arrivo di Diego Piacentini da Amazon che ci darà altre opportunità per presentarci uniti anche sul fronte dell’innovazione. Un team in cui ciascuno ha un proprio compito ma che lavora secondo una linea coerente per rilanciare l’Italia».

Le indagini che hanno coinvolto il dicastero, con le dimissioni della ministra Guidi, hanno creato una grave crisi di fiducia. E il ministero è accusato di non far più politica industriale. Tanto che il nostro editorialista Francesco Giavazzi si è chiesto sul Corriere della Sera se non convenga eliminarlo.

«Saremmo uno dei pochi Paesi al mondo a non avere un ministero dello Sviluppo economico. Il dicastero deve avere un ruolo di regia per la politica industriale e per l’internazionalizzazione del Paese. A breve verrà nominato il nuovo ministro. Però è importante sapere che c’è una squadra di vice ministri e sottosegretari al lavoro e che nella struttura ci sono importanti professionalità all’altezza del ruolo affidatogli. Abbiamo davanti a noi una sfida che è quella dell’innovazione, dell’industria 4.0, dell’e-commerce. Elementi cruciali per proiettare l’Italia sempre con più forza nello scenario competitivo mondiale».

Lo scorso anno il governo ha investito 260 milioni al made in Italy. Adesso?

«Nel momento in cui, giustamente, le finanze pubbliche sono oggetto di attenzione perché bisogna spendere meno e meglio, il piano straordinario per il made in Italy è stato una delle poche voci ad avere risorse aggiuntive. Abbiamo progetti ambiziosi. Dopo la prima iniezione importante nel 2015, quest’anno abbiamo destinato 164 milioni per stabilizzare e mettere a regime le azioni intraprese. A questo va aggiunto l’attivismo politico del nostro governo, che è protagonista su molti scenari, pensiamo all’Iran, all’Argentina, all’Africa subsahariana, e che aiuta i nostri imprenditori a individuare nuovi mercati. Dall’altro lato presentiamo anche l’Italia come luogo in cui far investimenti».

Cosa che resta difficile.

«Oggi, grazie alle riforme fatte — dal Jobs act alla pubblica amministrazione fino al nuovo assetto costituzionale, che permetteranno al Paese di essere ancora più competitivo — presentare l’Italia come mercato su cui investire è più facile e vediamo già i primi risultati. Ad esempio, a Boston, alla presenza del presidente del Consiglio, ho firmato un accordo con Ibm per favorire un loro investimento in Italia da 150 milioni sull’intelligenza artificiale applicata alla salute, che consentirà al Paese di assumere una leadership tecnologica di settore».

Però l’ambasciatore americano in Italia, John Phillips, ha detto che per gli Usa potremmo essere il secondo Paese in cui investire ma siamo l’ottavo a causa di una giustizia troppo lenta.

«La situazione sta cambiando con le nuove misure adottate e grazie anche al contributo del sistema giudiziario. Mi riferisco per esempio al processo telematico e alla creazione dei tribunali delle imprese, che stanno iniziando a dare i loro frutti. Nel 2015 l’Italia ha attratto 75 miliardi di investimenti esteri, un exploit che ci è stato riconosciuto dagli analisti di settore. Più della metà di questi capitali sono stati impiegati per rilevare quote di minoranza, non di controllo, delle imprese: chi investe come socio di minoranza lo fa perché ha fiducia».

Le sanzioni alla Russia restano un elemento critico per le imprese. Spingerà per toglierle?

«Un grande Paese ha una politica estera coerente e le scelte di politica estera fanno premio sulla politica commerciale. A volte, come nel caso della Russia, le decisioni prese possono richiedere dei sacrifici».

Sacrificare l’interesse economico a quello della politica.

«La politica può essere talvolta un ostacolo all’impresa, ma può diventare anche uno strumento per trovare nuove opportunità. Dal 14 luglio, giorno della firma dell’accordo di Vienna con l’Iran, abbiamo già organizzato in quel Paese quattro missioni imprenditoriali. Siamo stati i primi ad andare in Argentina con il nuovo presidente e ci torneremo a maggio con una seconda missione. Ma se c’è una decisione di politica estera va rispettata, un grande Paese ha una parola sola e se la politica del governo stabilisce che vadano imposte delle sanzioni è giusto che l’intero Paese si allinei. Naturalmente, lavoriamo perché le relazioni internazionali siano le più distese possibili, ce lo auguriamo anche come cittadini».

Le imprese italiane restano troppo piccole.

«Il governo sta agendo su due direttrici, potenziando gli sforzi dell’Ice sull’attività di assistenza alle aziende e dando attuazione al progetto “Alti potenziali” che consiste nell’individuare le imprese che hanno i requisiti per espandersi sui mercati globali, supportandole nel loro piano di internazionalizzazione e relativa implementazione. Allo stesso tempo, però, va anche riconosciuto che le nostre dimensioni ci assicurano una vicinanza ai territori e ai clienti che gli altri Paesi non hanno. Nella meccanica di precisione e nella robotica, per esempio, siamo il terzo Paese per esportazioni, dopo Giappone e Germania, e siamo in grado di rispondere meglio di altri alle richieste di personalizzazione dei clienti. Spesso sono proprio le imprese italiane a costruire le parti più intelligenti delle macchine».

Che ruolo riveste il Comitato per la moda?

«È veramente strategico. L’Italia è il Paese dei mille campanili, dove spesso prevale il talento individuale. Con il Comitato per la moda, così come per il settore dell’agroalimentare, della farmaceutica e dell’audiovisivo, intendiamo salvaguardare le singole peculiarità ma allo stesso tempo creare un sistema integrato che parli nel mondo con una voce sola».

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