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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2011 alle ore 18:33.

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Quando lo spread Btp-Bund era di conforto al ministro del Tesoro Carlo Azeglio CiampiQuando lo spread Btp-Bund era di conforto al ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi

Dieci anni fa, il 1° gennaio 2002, entrava in circolazione l'euro, salutato in Italia da uno dei suoi padri più convinti, Carlo Azeglio Ciampi allora al Quirinale. A pochi giorni dalla ricorrenza, il "custode" della valuta europea Mario Draghi, dallo scorso novembre presidente della Bce, ha voluto lanciare un messaggio incoraggiante, sottolineando che l'euro fa ormai parte della vita quotidiana di 330 milioni di cittadini europei: è una storia di successo, nata senza intoppi e soprattutto, nel momento in cui viene messo in discussione, una storia senza ritorno.

In effetti il 2012 sarà un anno cruciale per la sopravvivenza della moneta unica, mentre i più pessimisti tra operatori e analisti parlano di possibile deflagrazione dell'Eurozona, di doppia velocità tra Paesi forti e deboli, di espulsione dei più indebitati. Così il Wall Street Journal ha scritto che alcune banche centrali nazionali si stanno già preparando al ritorno delle vecchie valute (ad esempio l'istituto di Dublino), mentre altre indiscrezioni, sempre smentite, parlano di una Germania pronta a far risorgere l'amato marco tedesco. Sui mercati il 2011 si chiude registrando (28 dicembre) la discesa dell'euro sotto la soglia critica di 1,30 sul dollaro per la prima volta da gennaio e il minimo da dieci anni verso lo yen giapponese sotto quota 100 (30 dicembre). Intanto il differenziale dei tassi Btp-Bund è tornato sopra i 500 punti.

Lo "spread" fra i Btp decennali italiani e i Bund tedeschi di equivalente durata non è però un neologismo inventato nell'estate 2011, quando giornali e tv hanno cominciato a citarlo quasi tutti i giorni, come le chiusure di Borsa o l'aumento dei prezzi della benzina verde e del gasolio. Al Consiglio europeo del 21-22 giugno 1996, che si tenne alla Fortezza da Basso di Firenze, in chiusura del semestre italiano di presidenza dell'Unione (all'epoca i vertici Ue erano ospitati a rotazione dai paesi membri e non nella sede comunitaria di Bruxelles) a parlare con soddisfazione dello "spread" fu Carlo Azeglio Ciampi, ministro del Tesoro nel primo Governo Prodi (quello dell'Ulivo, in carica da poco più di un mese). Altra nota di cronaca di quel vertice a Firenze: Mario Monti era commissario Ue al Mercato interno. Ai giornalisti italiani e stranieri presenti al Consiglio europeo, Ciampi con il suo tono da professore bonario spiegò: «È un controllo che faccio spesso sui terminali delle agenzie; negli ultimi mesi ho visto progressivamente ridursi il differenziale dei tassi con la Germania, voglio sperare che questa tendenza continuerà». Allora ci separavano dalla Germania 300 punti base nei tassi di interesse, ma ancora nel marzo 1995, con la lira vicino a quota 1.300 sul marco, lo spread era di 600 punti base. Nel mese di dicembre del 1996 lo spread Btp-Bund sarebbe poi sceso per la prima volta sotto i 200 punti.

Corsi e ricorsi della storia. Verso il 1995 Francia e Germania, i due grandi vicini del Reno, avevano elaborato un concetto di Unione monetaria ristretta: partiamo intanto noi, con i piccoli paesi già adeguatamente integrati (Benelux e, dopo il suo ingresso, l'Austria), gli altri seguiranno. Teorizzato nel documento Schaeuble-Lamers, dal nome dei due consiglieri per la politica europea del cancelliere Helmut Kohl, nasce una sorta di "nocciolo duro", la culla blindata dell'euro. Per l'Italia, fino alla metà del 1996, la difficoltà di uscire dal periodo recessivo dell'economia, la crisi politica e lo scostamento dei nostri dati macroeconomici dai parametri di convergenza previsti dal Trattato di Maastricht, ci davano pochi margini di speranza.

Con l'intenzione di stabilire una sorta di asse mediterraneo per ritardare insieme l'ingresso nell'euro, Prodi incontrava il premier spagnolo Aznar a Valencia il 15 e 16 settembre 1996, ricevendone però una risposta netta: Madrid aveva la "clarissima determinacion" di entrare nell'Unione monetaria fin dall'inizio. Si racconta che la notte stessa Prodi e Ciampi gettarono le basi per la maxi-finanziaria 1997, con l'Eurotassa incorporata (la pressione fiscale italiana salì di 2 punti rispetto al Pil). Due mesi dopo, in novembre, la chiede il rientro nello Sme (il meccanismo che legava le valute partecipanti a una griglia di cambio predeterminata, da cui la nostra moneta era dovuta uscire nel settembre 1992) e la parità con il marco tedesco viene fissata a quota 990. Questa decisione era necessaria per rispettare un preciso criterio di Maastricht, che prevedeva la partecipazione allo Sme nei due anni precedenti l'Unione monetaria.

A fine 1997 il deficit sotto il 3% del Pil era ormai a portata di mano. Certo l'Italia non poteva rientrare per quanto riguardava il debito, che avrebbe dovuto essere contenuto nel 60% del Pil, ma nel marzo 1998 la Commissione Ue e l'Istituto monetario europeo (precursore della Bce) certificarono – seppure in maniera sofferta - che il nostro rapporto fra debito e Pil «andava riducendosi in misura sufficiente, avvicinandosi al valore di riferimento con ritmo adeguato» (come recita l'art. 104 C del Trattato di Maastricht), per cui il Consiglio europeo di inizio maggio poté includere l'Italia nella lista degli undici partecipanti alla moneta unica a partire dal 1° gennaio 1999 (senza effettiva circolazione dell'euro fino al 2002). La Banca d'Italia effettuò l'ultimo taglio del tasso di sconto il 28 dicembre 1998, portandolo al 3% comune a tutti i paesi dell'area euro.

Come ha raccontato alcuni anni dopo uno dei protagonisti di quelle giornate, l'attuale direttore generale della Banca d'Italia Fabrizio Saccomanni, «in quel pomeriggio del 31 dicembre 1998, mentre brindavamo all'ingresso della lira nell'Unione monetaria europea, non ci passava neanche per la testa che qualcuno in alto loco avrebbe potuto poi accusarci di aver sbagliato i conti e di aver fissato la lira o troppo alta o troppo bassa rispetto al marco o all'euro; pensavamo che fosse finita per sempre l'era delle crisi valutarie, dell'inflazione a due cifre, della paura permanente che il crollo del cambio portasse alla crisi finanziaria, al consolidamento dei Bot, alla bancarotta dello Stato. E ci sembrava cosa buona». Ma, come dicevamo all'inizio, per l'Unione monetaria europea le sfide non sono ancora terminate.

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