La mozione di sfiducia contro Alfano, presentata da grillini e Sel, sarà discussa in Senato dalle 8,30 di domattina. Se fosse votata a scrutinio segreto, il ministro dell’Interno avrebbe poche chances di cavarsela. Ma l’Aula dovrà pronunciarsi a viso aperto, perché così vuole il regolamento.

Dunque la sorte di Alfano (e del governo di «larghe intese») sostanzialmente dipende da ciò che oggi deciderà l’assemblea dei senatori Pd, il gruppo più numeroso. Si annuncia una discussione parecchio animata perché una dozzina di renziani sono venuti ieri allo scoperto, sostenendo che la posizione del ministro targato Pdl è «oggettivamente indifendibile», insomma se ne deve andare o in alternativa andrebbe cacciato.

Diversi altri esponenti democratici si sono uniti alla richiesta di dimissioni, da Rosy Bindi a Gentiloni, da Civati ai prodiani Zampa e Gozi, dando a un certo punto la netta sensazione che il partito del premier sia pronto a tutto, pur di scaricare Alfano. Il culmine della tensione politica si è toccato quando sono scesi in campo la Finocchiaro e soprattutto Cuperlo, candidato alla segreteria. Entrambi appartengono a quella vasta area Pd che si colloca tra D’Alema e Bersani, segno che l’insofferenza contagia tutto il partito. Diversamente dai renziani, loro non invitano Alfano a levare il disturbo. Gli chiedono, come atto di grande responsabilità, che rinunci «sua sponte» al ministero dell’Interno pur restando vice-presidente del Consiglio.

È un’eventualità di cui né Alfano né il Pdl vogliono sentir parlare. Rinunciando alle deleghe, si dice da quelle parti, il ministro ammetterebbe una colpa e un’incapacità. Per cui l’intero partito fa quadrato, stavolta senza apprezzabile distinzione tra «falchi» e «colombe». Berlusconi, fino all’altro ieri distratto, ha fatto sapere tramite «Corsera» che Angelino non è in discussione. Tutta la vicenda kazaka, secondo il Cavaliere, è «colpa dei burocrati e di quattro magistrati», il suo ministro dev’essere assolto. La Lega, che sulle prime aveva preso le distanze dal Pdl, è tornata di corsa sui suoi passi. Insomma: una bocciatura di Alfano non verrebbe digerita dal centrodestra, in quel caso la crisi del governo Letta sarebbe inevitabile.

Al premier, inutile dire, la prospettiva di essere travolto non piace né poco né punto. Da Londra, dov’è andato a incontrare il primo ministro Cameron, ha difeso senza tentennamenti Alfano. Dalla relazione di Pansa, capo della Polizia, «emerge chiaramente la totale estraneità» del ministro, sostiene Letta. Proprio Pansa ha ribadito ieri che né Alfano né la titolare degli Esteri Bonino sapevano nulla dell’espulsione decretata ai danni di madre e figlia. E la titolare della Giustizia, Cancellieri, ha segnalato che la moglie dell’esule kazako non ha mai chiesto asilo, allargando le zone d’ombra di una vicenda che già ne contiene troppe. Fatto sta che al dibattito di domani Letta sarà presente, un modo per dire al proprio partito: niente scherzi, per favore.

Oggi farà udire la sua voce il Presidente della Repubblica. E tutti i segnali dal Colle, dove ieri è salita la Bonino, portano a ritenere che Napolitano sia profondamente turbato dalla figuraccia internazionale, su cui ha aperto un fascicolo la Procura di Roma. Ma si dà pure per certo che Re Giorgio non veda di buon occhio una crisi di governo, specie in questo momento. Con la crisi finanziaria che incombe. Con una legge elettorale (il Porcellum) ancora da aggiustare. La segreteria Pd già ieri sera frenava parecchio, non si può far cadere il governo. Renzi stesso ha negato con sdegno l’etichetta del «pugnalatore». Fermo restando che giudica «indegno scaricare sulle forze dell’ordine» la responsabilità del pasticcio kazako.

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